Montepeloso
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sabato 15 settembre 2018

IRSINA - Sant’Eufemia


Sant’Eufemia, la protettrice, si festeggia il 16 settembre, anniversario della sua morte per martirio, avvenuta in Calcedonia, antica città dell’Asia minore, sul Bosforo, di fronte a Bisanzio, sede del IV concilio ecumenico, oggi villaggio turco chiamato Kadikäg.
Insieme si festeggia anche, precisamente il 15 settembre, la Madonna della Provvidenza, qualche settimana prima portata, in forma privata, dal Santuario del Monte d’Irsi, dove si riaccompagna la prima domenica di maggio.
Ben due sono state le vite scritte della Santa, che narrano come sia diventata protettrice di Montepeloso, dopo essere stata gettata in una fossa di leoni e di orsi a causa della sua fede, sotto Diocleziano, e dopo che il suo corpo fosse giunto in Italia, in Padova o in Rovigo, dove si conserva. Detto corpo manca di un braccio, che sarebbe quello tenuto per reliquia nella Cattedrale di Irsina, dove fu portato da un sacerdote di Montepeloso per suggerimento della stessa martire.
La tradizione popolare, però - e lo stesso Janora finisce per adombrarlo nel suo «Cenno su Santa Eufemia» - afferma che il braccio sia stato trafugato e portato ad Irsina in uno stivale, dopo un viaggio fortunoso, e nascosto in un armadietto a muro di una casa posta in largo San Vito, che da allora ha fama di essere scomunicata.
Il braccio di Sant’Eufemia, tempestato di gemme e di pietre preziose si porta in processione insieme alla statua, che rappresenta una bella fanciulla avente al fianco un leone in atto di lambirle la mano. La festa non ha particolari manifestazioni. Oltre alla processione e ai soliti mortaretti, la tradizionale banda che accompagna il corteo e poi suona pezzi d’opera su di una cassarmonica in piazza Garibaldi.

Antica manifestazione connessa con la festività, scomparsa probabilmente già alla fine del XIX secolo, era una gara fra aratori, anzi, fra imporcatori, fra esperti, cioè, dell’aratro. 
Imporcare significa dividere con porche, in strisce rettangolari il terreno da arare, in modo che l’aratura stessa possa essere eseguita con maggiore regolarità, in spazio più limitato e, all’occorrenza, anche da più aratori contemporaneamente.
Gli imporcatori concorrenti a turno tracciavano un solco ciascuno, il più diritto dei quali veniva definito il solco di Sant’Eufemia. L’autore ne guadagnava in stima e in prestigio fra la popolazione, e non tanto nella propria attività lavorativa quanto piuttosto, nella popolarità della piazza, perché il suo nome ricorreva per qualche giorno sulla bocca dei paesani e qualche volta era ricordato anche per anni. Insomma si concorreva per la gloria e non per la pancia, non c’era alcun premio cioè, se non l’orgoglio della vittoria. 
Si riconoscono, invece, da parte dei fedeli, particolari poteri protettivi e taumaturgici, specialmente sui seminati, alla reliquia della Santa, per cui essa si porta in processione sino alla cappella, in occasione di temporali e grandinate, e da quel posto si espone a benedire a proteggere i campi sottostanti e tutti quelli dell’agro di Irsina. La cappella era una chiesetta che si ergeva, fino ai primi anni del XX secolo, nella parte inferiore della piazza Garibaldi.

 La cappella, ricordata dagli anziani come artistica, anche se piccolissima, non è neanche menzionata dallo storico Janora, che pure di chiese si è occupato abbastanza nel suo lavoro principale. Essa c’era ancora, mi è stato assicurato, all’epoca di Monsignor Maiella, in carica fino al 1906. Fu proprio in quel periodo che andò distrutta in seguito a cedimenti del muro sottostante. Quest’ultimo fu rinforzato, ma la chiesetta non fu mai più riedificata. Tutte le processioni liturgiche, tuttavia, come quelle per il Corpus Domini e l’Ascensione, fanno sosta sulla cappella, sul luogo, cioè dove sorgeva, come se ancora fosse là ad attendere e ad accogliere i devoti e il clero officiante. Non è improbabile che questo rito sia stato continuato come una sorta di larvata protesta contro le autorità, le quali, all’epoca del crollo, non erano per niente disposte, dati i rapporti tra lo Stato e la Santa Sede e lo spirito anticlericale imperante anche fra larghi strati della popolazione, ad aiutare gli ecclesiastici in faccende di questo genere.

Tratto dal libro di 

Michelino Dilillo 



IRSINA 
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