Sant’Eufemia, la
protettrice, si festeggia il 16 settembre, anniversario della sua morte per
martirio, avvenuta in Calcedonia, antica città dell’Asia minore, sul Bosforo,
di fronte a Bisanzio, sede del IV concilio ecumenico, oggi villaggio turco
chiamato Kadikäg.
Insieme si
festeggia anche, precisamente il 15 settembre, la Madonna della Provvidenza,
qualche settimana prima portata, in forma privata, dal Santuario del Monte
d’Irsi, dove si riaccompagna la prima domenica di maggio.
Ben due
sono state le vite
scritte della Santa, che narrano come sia diventata protettrice di
Montepeloso, dopo essere stata gettata in una fossa di leoni e di orsi a causa
della sua fede, sotto Diocleziano, e dopo che il suo corpo fosse giunto in
Italia, in Padova o in Rovigo, dove si conserva. Detto corpo manca di un
braccio, che sarebbe quello tenuto per reliquia nella Cattedrale di Irsina,
dove fu portato da un sacerdote di Montepeloso per suggerimento della stessa
martire.
La
tradizione popolare, però - e lo stesso Janora finisce per adombrarlo nel suo «Cenno su Santa Eufemia» - afferma
che il braccio sia stato trafugato e portato ad Irsina in uno stivale, dopo un
viaggio fortunoso, e nascosto in un armadietto a muro di una casa posta in
largo San Vito, che da allora ha fama di essere scomunicata.
Il braccio
di Sant’Eufemia, tempestato di gemme e di pietre preziose si porta in
processione insieme alla statua, che rappresenta una bella fanciulla avente al
fianco un leone in atto di lambirle la mano. La festa non ha particolari
manifestazioni. Oltre alla processione e ai soliti mortaretti, la tradizionale
banda che accompagna il corteo e poi suona pezzi d’opera su di una cassarmonica
in piazza Garibaldi.
Antica manifestazione
connessa con la festività, scomparsa probabilmente già alla fine del XIX secolo,
era una gara fra aratori, anzi, fra imporcatori,
fra esperti, cioè, dell’aratro.
Imporcare
significa dividere con porche, in strisce rettangolari il terreno da arare, in
modo che l’aratura stessa possa essere eseguita con maggiore regolarità, in
spazio più limitato e, all’occorrenza, anche da più aratori contemporaneamente.
Gli imporcatori
concorrenti a turno tracciavano un solco ciascuno, il più diritto dei quali
veniva definito il solco di Sant’Eufemia. L’autore ne guadagnava in stima e in
prestigio fra la popolazione, e non tanto nella propria attività lavorativa
quanto piuttosto, nella popolarità della piazza, perché il suo nome ricorreva
per qualche giorno sulla bocca dei paesani e qualche volta era ricordato anche
per anni. Insomma si concorreva per la gloria e non per
la pancia, non c’era alcun premio cioè, se non l’orgoglio della
vittoria.
Si
riconoscono, invece, da parte dei fedeli, particolari poteri protettivi e
taumaturgici, specialmente sui seminati, alla reliquia della Santa, per cui
essa si porta in processione sino alla cappella, in occasione di temporali
e grandinate, e da quel posto si espone a benedire a proteggere i campi
sottostanti e tutti quelli dell’agro di Irsina. La cappella era una chiesetta
che si ergeva, fino ai primi anni del XX secolo, nella parte inferiore della
piazza Garibaldi.
La cappella, ricordata dagli anziani come
artistica, anche se piccolissima, non è neanche menzionata dallo storico
Janora, che pure di chiese si è occupato abbastanza nel suo lavoro principale.
Essa c’era ancora, mi è stato assicurato, all’epoca di Monsignor Maiella, in
carica fino al 1906. Fu proprio in quel periodo che andò distrutta in seguito a
cedimenti del muro sottostante. Quest’ultimo fu rinforzato, ma la chiesetta non
fu mai più riedificata. Tutte le processioni liturgiche, tuttavia, come quelle
per il Corpus Domini e l’Ascensione, fanno sosta sulla cappella, sul luogo, cioè
dove sorgeva, come se ancora fosse là ad attendere e ad accogliere i devoti e
il clero officiante. Non è improbabile che questo rito sia stato continuato
come una sorta di larvata protesta contro le autorità, le quali, all’epoca del
crollo, non erano per niente disposte, dati i rapporti tra lo Stato e la Santa
Sede e lo spirito anticlericale imperante anche fra larghi strati della
popolazione, ad aiutare gli ecclesiastici in faccende di questo genere.
IRSINA
credenze, usanze, tradizioni montepelosane
Tratto dal libro di
Michelino Dilillo
IRSINA
credenze, usanze, tradizioni montepelosane
Nessun commento:
Posta un commento