Ecco una storia vera che si raccontava a Irsina ai primi degli anni 30 del Novecento. Una storia di miracolo e di guarigione, di paura della morte e di speranza. Un ragazzo stava male, era moribondo, u mid’ch l’er l’c’nzièt (il medico lo aveva licenziato, cioè lo aveva dichiarato spacciato).
La notte tutti vegliavano, in
casa, in attesa del trapasso ritenuto imminente. Il padre e la madre al
capezzale del morente, in lacrime.
Le sorelle più grandi poco distanti, attorno
ad un tavolo illuminato da una luce bassa, una che preparava il costumino alla
marinara, messo appena una volta, che aveva bisogno di essere stirato; l’altra
che lucidava le scarpette del ragazzo, anch’esse nuove.
E’ necessario che i
morti siano vestiti decentemente, quando si avviano alla loro dimora. Con le
ragazze stava una vicina di casa, che si sforzava di consolarle come meglio
poteva e sapeva. Ma quelle non si rassegnavano. Piangevano, e ricordavano il
fratellino come fosse già morto. Una scarpa sfuggì di mano a chi la lucidava.

La vicina ne trasse un buon auspicio. Poco dopo anche alla sorella più grande
successe qualcosa. Una bretella del costume si spezzò. La vicina di casa ne
trasse un nuovo auspicio di augurio. Il piccolo non sarebbe morto. Intorno al
letto, intanto, nella penombra, dove il malato si agitava e delirava, in preda
a febbre altissima, la mamma fu presa irresistibilmente dal sonno, che invano
cercò di scacciare, e si ritrovò, sola, in una cappella buia, al centro della
quale, attorno ad un catafalco, si aggiravano cinque o sei vecchine, con un lumino
ciascuna in mano, chiuse il viso nel tradizionale panno, le quali mormoravano
qualcosa con devozione. La mamma smaniava, nel tentativo di capire quel che
dicessero le vecchine, insistendo perché pregassero per il suo figliuolo. Ma le
vecchie non se ne davano per inteso. Solo una di loro si rivolse alla mamma, il
volto austero e trasognato, le mani giunte ad indicare varie direzioni, la
quale disse:
-
dè ha riusciòt, dè ha riusciòt,, dè ha riusciòt; t’a rièsc e t’a rièsc!
(Là ci è riuscito, là ci è riuscito, là ci è
riuscito; ti riuscirà, e ti riuscirà).
Incoraggiata da queste parole, la
madre risolutamente si mescolò alle ombre, e finalmente riuscì a capire la loro
preghiera:
- Spird sand d’a Grazj, p’car’tèt, a cioss fighhj
raccumannèt.
(Spirito Santo di Grazia facci la grazia, per
carità, a questo figlio raccomandato).
Proprio in quel momento la madre fu
svegliata dal marito perché modificazioni sostanziali si stavano verificando
nello stato del piccolo malato. Un sudore abbondante lo aveva inondato. Fu
necessario cambiargli tutta la biancheria.
-
E’ il sudore della morte
- pensò con raccapriccio la mamma.
- E’ la fine - balenò all’improvviso
nella mente del padre.
Ma il bambino era sfebbrato, hera
turnèt da port u cambsand (era tornato dalla porta del cimitero). La mattina successiva il medico passando
per il consueto giro di visite, chiese alle vicine come stesse il malato certo
della risposta ferale. Ma seppe che stava meglio, e di persona poté constatare
la strana, miracolosa guarigione del bambino.
(le illustrazioni sono due dipinti e una lampada votiva custoditi nella chiesa del Purgatorio)
tratto dal libro di
Michelino Dilillo
IRSINA
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