Montepeloso
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giovedì 4 marzo 2021

Religiosità popolare e pensiero magico a Montepeloso fra Ottocento e Novecento – 3^ puntata

Ecco una storia vera che si raccontava a Irsina ai primi degli anni 30 del Novecento. Una storia di miracolo e di guarigione, di paura della morte e di speranza. 

Un ragazzo stava male, era moribondo, u mid’ch l’er l’c’nzièt (il medico lo aveva licenziato, cioè lo aveva dichiarato spacciato). 

La notte tutti vegliavano, in casa, in attesa del trapasso ritenuto imminente. Il padre e la madre al capezzale del morente, in lacrime. 

Le sorelle più grandi poco distanti, attorno ad un tavolo illuminato da una luce bassa, una che preparava il costumino alla marinara, messo appena una volta, che aveva bisogno di essere stirato; l’altra che lucidava le scarpette del ragazzo, anch’esse nuove. 

E’ necessario che i morti siano vestiti decentemente, quando si avviano alla loro dimora. Con le ragazze stava una vicina di casa, che si sforzava di consolarle come meglio poteva e sapeva. Ma quelle non si rassegnavano. Piangevano, e ricordavano il fratellino come fosse già morto. Una scarpa sfuggì di mano a chi la lucidava. 

La vicina ne trasse un buon auspicio. Poco dopo anche alla sorella più grande successe qualcosa. Una bretella del costume si spezzò. La vicina di casa ne trasse un nuovo auspicio di augurio. Il piccolo non sarebbe morto. Intorno al letto, intanto, nella penombra, dove il malato si agitava e delirava, in preda a febbre altissima, la mamma fu presa irresistibilmente dal sonno, che invano cercò di scacciare, e si ritrovò, sola, in una cappella buia, al centro della quale, attorno ad un catafalco, si aggiravano cinque o sei vecchine, con un lumino ciascuna in mano, chiuse il viso nel tradizionale panno, le quali mormoravano qualcosa con devozione. La mamma smaniava, nel tentativo di capire quel che dicessero le vecchine, insistendo perché pregassero per il suo figliuolo. Ma le vecchie non se ne davano per inteso. Solo una di loro si rivolse alla mamma, il volto austero e trasognato, le mani giunte ad indicare varie direzioni, la quale disse:  

- dè ha riusciòt, dè ha riusciòt,, dè ha riusciòt; t’a rièsc e t’a rièsc!

(Là ci è riuscito, là ci è riuscito, là ci è riuscito; ti riuscirà, e ti riuscirà).

Incoraggiata da queste parole, la madre risolutamente si mescolò alle ombre, e finalmente riuscì a capire la loro preghiera:  

- Spird sand d’a Grazj, p’car’tèt, a cioss fighhj raccumannèt.

(Spirito Santo di Grazia facci la grazia, per carità, a questo figlio raccomandato).

Proprio in quel momento la madre fu svegliata dal marito perché modificazioni sostanziali si stavano verificando nello stato del piccolo malato. Un sudore abbondante lo aveva inondato. Fu necessario cambiargli tutta la biancheria.

- E’ il sudore della morte -  pensò con raccapriccio la mamma.

- E’ la fine - balenò all’improvviso nella mente del padre.

Ma il bambino era sfebbrato, hera turnèt da port u cambsand (era tornato dalla porta del cimitero). La mattina successiva il medico passando per il consueto giro di visite, chiese alle vicine come stesse il malato certo della risposta ferale. Ma seppe che stava meglio, e di persona poté constatare la strana, miracolosa guarigione del bambino.

(le illustrazioni sono due dipinti e una lampada votiva custoditi nella chiesa del Purgatorio)


tratto dal libro di 







Michelino Dilillo 






IRSINA 


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