Marzo è il mese d’i pedd,
Sì: delle pelli, il mese, cioè, di più alta
mortalità.
Prima che fossero scoperti e largamente usati gli
antibiotici, praticamente prima della seconda guerra mondiale, la polmonite
mieteva vittime, in Montepeloso, specialmente nel mese di marzo, ventoso per
eccellenza.
La posizione stessa del paese espone l’abitato a
tutti i venti, e non solo a Portannàzz (Portarenacea), ma anche piazza Castello (piazza Garibaldi, ex piazza del Popolo) offriva a
piene mani raffreddori, influenze e polmoniti. Piazza Castello, perciò, è detta anche piazza polmonite.
Molti malati, quindi, nel mese di marzo, e, di
conseguenza, molte dipartite. A proposito di malati, una diffusa credenza vieta
di offrir loro la mano per salutarli, mentre sono a letto. Sarebbe come dargli
l’estremo addio, come augurargli la morte. Per lo stesso motivo, perché
augurerebbe la morte all’uomo di casa, al capofamiglia e del tutto di
malaugurio posare il cappello sul letto.
È altresì di malaugurio tenere il letto con i piedi
verso la porta, o anche la tavola o un tavolo qualunque, perché in quel senso
si dispone la bara, in attesa che comincino i funerali, quando c’è un morto in
casa.
I morti si accompagnavano al cimitero, fino a pochi
anni precedenti la seconda guerra mondiale, con la banda, che intonava, lungo il
percorso del funerale, marce funebri. Nel caso di bambini, invece, la banda
suonava marcette allegre, per sottolineare la gioia di quei bimbi di volare in
cielo, ancora innocenti, dove diventavano angeli.
In rapida successione seguono due importanti ricorrenze,
nel mese di marzo - San Giuseppe, il diciannove, e l’Annunziata,
il venticinque - che offrivano l’occasione per particolari manifestazioni.
A San Giuseppe si facevano i paniddòzz,
e a San Giuseppe e all'Annunziata i
fanòie.
Le famiglie benestanti, dei coloni e dei contadini
ricchi preparavano venti, trenta a volte cento pagnottelle che poi, dopo la
benedizione in chiesa, venivano distribuite alle anime del purgatorio,
cioè ai poveri. Fatto che si ripeteva, in forme diverse, almeno altre due volte nell'anno, il due novembre, con il paiuolo di fef crett, lessate alla monachella,
cioè senza togliere l’unghia; e il 13 dicembre, per Santa Lucia, con la cuccèia,
una minestra a base di grano e legumi lessati, condita con vincotto di fichi.
La differenza consisteva nel fatto che mentre a San Giuseppe i panidòzz
le facevano i ricchi, nel giorno dei morti e a Santa Lucia i i fef
crett e la cuccèia si faceva in quasi tutte le case dove non mancava
qualche pugno di legumi.
Queste erano, in buona sostanza, occasioni da
cogliere a volo per tutti: per i poveri occasione di sfamarsi una volta tanto
senza troppi sforzi e per i ricchi occasione di acquistarsi a buon mercato un
pezzetto di paradiso.
Molto rilievo ebbe negli anni 30, il triduo a San Giuseppe che la famiglia Amato, grossi agrari irsinesi,
faceva indire nella cattedrale, in memoria di un congiunto, dal nome Seppe
Sante, deceduto alla fine degli anni 20. Il triduo - ciclo di preghiere della durata di tre giorni - si concludeva con la solenne cerimonia la sera del
19 marzo, a cui partecipavano, dopo che la mattina avevano fatto la comunione,
tutti i salariati fissi di Seppe Sante, com'era detta la
famiglia Amato nel paese, e tutti coloro, ed erano veramente in molti, che in
un modo o nell'altro con essa avevano o potevano avere a che fare.
Anche le fanòie, i falò, si ripetevano oltre che
a San Giuseppe e all'Annunziata, anche a Santa Lucia. Molto più importanti
erano quelle fatte in quest’ultima ricorrenza.
Il vento, nella settimana tra il 19 e il 25 marzo
raggiunge il suo più alto grado di intensità e di violenza. Allora, per le
strade, se il tempo è asciutto si vedono mulinelli di polvere detti scazzaridd,
che ricordano ai vignaiuoli di non chiecare le viti sulle canne che
reggono i cappucci prima che sia passato quel brutto periodo. Il cappuccio è
una impalcatura a forma piramidale di sostegno alla vite ed è formato da
quattro canne unite insieme in cima che sostengono altrettante viti le quali,
se legate, oppongono al vento una resistenza rigida e si spezzano.
---
Tratto dal libro di
Nessun commento:
Posta un commento