Montepeloso
Tradizioni, storia, curiosità, immagini, lingua.

domenica 25 marzo 2018

Irsina, Madonna della Pietà - U P'zzcantò



Le tradizioni dei nostri paesi costituiscono il patrimonio più autentico della cultura popolare tramandata di generazione in generazione con la vita vissuta, prima che con la narrazione e possiamo dire siano state il collante sociale e generazionale di una comunità; con i riti e le tradizioni ciascuna generazione passa il testimone alla generazione successiva che sente in quei riti la traccia della propria discendenza a legittimazione della appartenenza alla sua gente.
Molte delle nostre tradizioni sono legate ai riti delle ricorrenze religiose, altre al calendario stagionale del mondo agricolo e contadino: tutte insieme contribuivano a costruire in ciascuno dei nostri Paesi la identità individuale e collettiva, quasi una certificazione speciale di cittadinanza.
Di particolare originalità sono i riti che si svolgono a Irsina in occasione della festa della Madonna della Pietà.
Fuori dalle mura dell’antico borgo, nella zona denominata Peschiera, anticamente i monaci Bizantini avevano incanalato e raccolto acque sorgive che servivano per la irrigazione dei loro numerosi orti e avevano edificato
una cappella dedicata alla Madonna della Pietà la cui statua ripropone la scena immortalata dalla famosissima statua di Michelangelo. Attorno a questa chiesetta si era promosso un culto della Madonna con una processione rituale che ancora oggi si svolge ogni anno alla fine del mese di maggio. Nel pomeriggio del sabato i fedeli andavano alla cappella a prendere la statua della Madonna della Pietà e in processione la portavano in paese dove “il capitolo” riunito con tutti i paramenti conferiva ufficialità alla manifestazione partecipando alla processione.
I giovani più aitanti del paese rappresentavano in piazza una particolarissima impresa detta “U Pizzcantò” che consisteva nella acrobatica costruzione di una torre umana. Un gruppo di ragazzi, in numero dispari, si disponeva in cerchio con le braccia dell’uno poste dietro le spalle dell’altro. Sopra di loro montavano in piedi altri giovani nello stesso numero e legati fra loro alla stessa maniera, ritti con i piedi sulle spalle dei ragazzi del primo cerchio; sopra di loro si arrampicavano altri ragazzi a costituire il terzo anello della torre, mettendo a dura prova la resistenza dei compagni del cerchio più in basso.
Questa specie di torre umana si muoveva in tondo e i ragazzi cantavano una filastrocca in dialetto con la quale si esortava quelli dell’anello più sotto ad essere forti e a sorreggere la costruzione, finché si aveva il crollo e si ricominciava da capo, invertendo le parti: chi era stato sotto, poi si arrampicava all’anello più alto e viceversa.

Il ritornello della filastrocca dice:
E né pizzicantò
Sempr mo sempr mo
E tu ca stav da sott
Statt fort a mant né.
Ci avet da cadè
Semp i fech avet avè
E ueh Pzzicantò
Sempr mo sempr mo.

Questo singolare rito della torre umana detto Pizzicantò sembra risalire all’epoca della occupazione borbonica ed è evidente la allegoria politica sottesa alle battute della filastrocca quale memento della caducità del potere. Chi sta sotto, cioè il popolo, deve badare a reggere forte gli strati superiori, a sopportare cioè tutto il loro peso politico e sociale; ma chi sta sopra, i governanti, il potere, deve stare bene attento a non cadere perché altrimenti “semp i fech avet avè”; il popolo sottomesso, insomma, rammenta al potere che un giorno potrebbe anche stancarsi di sopportare il peso della prepotenza e capovolgere duramente la situazione.
Dopo la processione della domenica si svolgevano varie manifestazioni ludiche come la corsa a piedi, la corsa nei sacchi, la corsa al buio con la testa chiusa in un sacco di canapa e infine, a chiusura della allegra festa, la arrampicata all’albero della cuccagna.
Dopo la seconda guerra mondiale questa tradizione si era affievolita. Negli anni successivi, però, grazie prima a don Vito Manfredi e poi ai procuratori della festa della Madonna della Pietà, la tradizione è ritornata ad essere sentita ricorrenza locale e richiesta attrazione turistica.
La festa si concludeva il lunedì mattina al santuario campestre dove si riconduceva la statua della Madonna alla sua cappella e ci si tratteneva in campagna per a fare colazione all’aperto mangiando soprattutto le verdure degli orti circostanti il Santuario.
È importante ricordare che la statua della Pietà, a volte, si andava a prelevare dalla sua cappella e si portava in processione lungo le strade del paese per chiedere una qualche grazia.
Gli anziani rammentano che nel mese di aprile del 1943 si andò a prendere la statua della pietà e la si portò in processione per impetrare la grazia della PACE, della fine della guerra e contemporaneamente per chiedere la grazia della pioggia sui campi che la siccità stava inesorabilmente inaridendo, condannando così la gente alla fame più nera.  Centinaia di donne in processione, scalze, recitavano in dialetto una preghiera molto particolare.
O Mareia da Piatet
d’vna majstet
chedda grazia ca t cerch
m le fe p cartèt
o Mareia da Piatét.
Una donna la recitava da sola ad alta voce e poi tutte insieme le donne che partecipavano alla preghiera, la ripetevano in coro.