Montepeloso
Tradizioni, storia, curiosità, immagini, lingua.

sabato 16 marzo 2019

Marzo nelle tradizioni di Montepeloso


Marzo è il mese d’i pedd,
Sì: delle pelli, il mese, cioè, di più alta mortalità.
Prima che fossero scoperti e largamente usati gli antibiotici, praticamente prima della seconda guerra mondiale, la polmonite mieteva vittime, in Montepeloso, specialmente nel mese di marzo, ventoso per eccellenza.

La posizione stessa del paese espone l’abitato a tutti i venti, e non solo a Portannàzz (Portarenacea), ma anche piazza Castello (piazza Garibaldi, ex piazza del Popolo) offriva a piene mani raffreddori, influenze e polmoniti. Piazza Castello, perciò, è detta anche piazza polmonite.
Molti malati, quindi, nel mese di marzo, e, di conseguenza, molte dipartite. A proposito di malati, una diffusa credenza vieta di offrir loro la mano per salutarli, mentre sono a letto. Sarebbe come dargli l’estremo addio, come augurargli la morte. Per lo stesso motivo, perché augurerebbe la morte all’uomo di casa, al capofamiglia e del tutto di malaugurio posare il cappello sul letto.
È altresì di malaugurio tenere il letto con i piedi verso la porta, o anche la tavola o un tavolo qualunque, perché in quel senso si dispone la bara, in attesa che comincino i funerali, quando c’è un morto in casa.
I morti si accompagnavano al cimitero, fino a pochi anni precedenti la seconda guerra mondiale, con la banda, che intonava, lungo il percorso del funerale, marce funebri. Nel caso di bambini, invece, la banda suonava marcette allegre, per sottolineare la gioia di quei bimbi di volare in cielo, ancora innocenti, dove diventavano angeli.

In rapida successione seguono due importanti ricorrenze, nel mese di marzo - San Giuseppe, il diciannove, e l’Annunziata, il venticinque - che offrivano l’occasione per particolari manifestazioni. 

A San Giuseppe si facevano i paniddòzz, e a San Giuseppe e all'Annunziata i fanòie.
Le famiglie benestanti, dei coloni e dei contadini ricchi preparavano venti, trenta a volte cento pagnottelle che poi, dopo la benedizione in chiesa, venivano distribuite alle anime del purgatorio, cioè ai poveri. Fatto che si ripeteva, in forme diverse, almeno altre due volte nell'anno, il due novembre, con il paiuolo di fef crett, lessate alla monachella, cioè senza togliere l’unghia; e il 13 dicembre, per Santa Lucia, con la cuccèia, una minestra a base di grano e legumi lessati, condita con vincotto di fichi. La differenza consisteva nel fatto che mentre a San Giuseppe i panidòzz le facevano i ricchi, nel giorno dei morti e a Santa Lucia i i fef crett e la cuccèia si faceva in quasi tutte le case dove non mancava qualche pugno di legumi.

Queste erano, in buona sostanza, occasioni da cogliere a volo per tutti: per i poveri occasione di sfamarsi una volta tanto senza troppi sforzi e per i ricchi occasione di acquistarsi a buon mercato un pezzetto di paradiso.

Molto rilievo ebbe negli anni 30, il triduo a San Giuseppe che la famiglia Amato, grossi agrari irsinesi, faceva indire nella cattedrale, in memoria di un congiunto, dal nome Seppe Sante, deceduto alla fine degli anni 20. Il triduo - ciclo di preghiere della durata di tre giorni - si concludeva con la solenne cerimonia la sera del 19 marzo, a cui partecipavano, dopo che la mattina avevano fatto la comunione, tutti i salariati fissi di Seppe Sante, com'era detta la famiglia Amato nel paese, e tutti coloro, ed erano veramente in molti, che in un modo o nell'altro con essa avevano o potevano avere a che fare.

Anche le fanòie, i falò, si ripetevano oltre che a San Giuseppe e all'Annunziata, anche a Santa Lucia. Molto più importanti erano quelle fatte in quest’ultima ricorrenza.

Il vento, nella settimana tra il 19 e il 25 marzo raggiunge il suo più alto grado di intensità e di violenza. Allora, per le strade, se il tempo è asciutto si vedono mulinelli di polvere detti scazzaridd, che ricordano ai vignaiuoli di non chiecare le viti sulle canne che reggono i cappucci prima che sia passato quel brutto periodo. Il cappuccio è una impalcatura a forma piramidale di sostegno alla vite ed è formato da quattro canne unite insieme in cima che sostengono altrettante viti le quali, se legate, oppongono al vento una resistenza rigida e si spezzano.
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Tratto dal libro di 






Michelino Dilillo 






IRSINA 


credenze, usanze, tradizioni 

montepelosane




Irsina 1906 - la rivoluzione della Madonna


Al Santuario d’Irsi ed alla statua di Maria S.S. Della Provvidenza è legato il ricordo della cosiddetta rivoluzione della Madonna esplosa il 7 marzo 1906, per il sospetto, non so quanto fondato, diffusosi tra la popolazione, che il clero, o qualche elemento di esso, si fosse venduta a scopo di lucro personale, la statuetta della Madonna, pregevole opera bizantina per sostituirla con altra di minor valore. Gli accusati sostennero che si era trattato di un semplice restauro, ma le fedeli non ci credettero e inscenarono violente manifestazioni di protesta che richiesero l’intervento della truppa che, si disse, abusò di molte delle donne coinvolte nella sommossa. La notizia è tramandata - 50 anni più tardi - da donne anziane testimoni di quelle giornate, le quali ricordano anche alcune strofe ispirate all'accaduto come questa qui trascritta in italiano:

Sul monte d’Irsi
c’era una verginella.
Era antica e bella,
se l’è venduta monsignor Cotella.
Il monsignor Cotella
lo tenevano per santarello
e s’è venduta la verginella.
Si è scoperto l’imbroglio
in una cassa di petrolio
Pessiello si è messo in mezzo
si è venduta la provvidenza.
Il cavallo bianco hanno afferrato
Tutto a colpi di coltellate.
Se lo sapevo tre mesi prima,
mi vendevo Anna Bentini;
se lo sapevo mo’fa l’anno
mi vendevo la Marianna;
se lo sapevo poco prima,
mi vendevo la nipote signorina.
Il canonico Fascella
è scappato con la gonnella:
a Gravina è arrivato
per masciàro l’hanno pigliato.

Le vicende popolari non hanno storiografia ufficiale.
Gli avvenimenti erano tramandati per via orale e in forma poetica, come in passato, da Omero sino ai più recenti cantastorie.
Montepeloso non faceva eccezione e sino alla metà del '900 il popolo ricordava gli eventi storici attraverso i fatt e i "dstròtt".
Non esistono documentazioni né più ricordi personali che possano chiarire l'identità delle persone citate nella strofa satirica che senza dubbio alcuno mostra la motivata irriverenza popolare verso il clero avido e corrotto.