Al centro della cultura popolare, come della vita
paesana, ci sono il lavoro e la famiglia.
Il lavoro, inteso innanzitutto come fatica
quotidiana. Ma anche come elemento indispensabile per l'affermazione di sé,
della propria persona e per il benessere della famiglia. E mezzo, inoltre, per
l'accrescimento di beni, cioè di ricchezze, intese queste quasi sempre come
possedimenti di terra. La ricchezza, infatti, o almeno il benessere familiare,
è altamente ricercata anche come elemento di distinzione sociale, dal momento
che
quann' u marét' jè pauridd', manch' a m'gghiér' u
pôut v'dè,
vale a dire che quando il capofamiglia è povero, è
inviso persino a sua moglie. Ma soprattutto la ricchezza è mezzo indispensabile
di indipendenza economica e sociale, considerato che
p' u sold' tonn' tonn', vech'- 'n
col' a tott' u monn'.
La terra fa la casa, ma la casa non fa la terra, perentoriamente afferma il
contadino che mira a divenir prima rampicante, cioè che si arrampica,
cercando di salire nella scala sociale, e poi padrone.
E ancora: Due volte l'uomo si mena a crepare
(ce la mette tutta, fino a rischio di morire): quando mangia a spese di altri
(è invitato a mangiare in casa altrui) e quando lavora per conto proprio.
Che è un altro cardine del modo di intendere il lavoro, il quale resta fatica,
sforzo improbo e tutto sommato improduttivo quando è prestato a favore di
terzi; ma merita ogni impegno, richiede l'accanimento più completo e assoluto
quando, invece, è reso a vantaggio proprio e della propria famiglia.
Sul rapporto tra lavoratori e datori di lavoro c'è
una vasta letteratura orale, racconti o fatti, barzellette, strofe, proverbi
che guardano e rendono conto, sempre in tono burlesco e satirico, ora del
padrone esoso e incomprensivo, ora del lavoratore che cerca qualche scorciatoia
per scansar fatica.
A questo proposito è famosa la figura Sacrapanz
di cui ho già raccontato e quella di Frigolino che incitato a fare il suo
dovere di lavoratore, lamenta che gli fa male il piede, mentre alla chiamata
per il pranzo risponde:
mo' m' n' vèngh' chien' chien.
Come a
dire che per il mangiare, sia pure piano piano, sia pure con tutto il tempo che
occorre, trova il modo di muoversi; mentre rimane irrimediabilmente immobile
quando bisogna lavorare; si può rammentare anche quella paranza di mietitori
che conoscono bene la propria falce e spolpati tutti i cinque pasti, a fine
giornata non hanno falciato neppure un metro.
Si tratta, in tutti i casi, di pelle lustra, di gente
che non intende sporcarsi pur non rinunciando a passar bene la vita, se non
addirittura a spassarsela a danno degli altri. Come avviene, del resto, per
mastro Gerardo Acquadighiaccio, al quale non c'è verso di far muovere un dito anche
se si proclama assolutamente e incondizionatamente al servizio del padrone, al
comando del quale ha sempre la risposta pronta: ci penso io, lascia fare a me,
me la vedo io; ma che raggira tanto il bravo e ingenuo Zinannùrch' da portargli
via ogni bene mobile; sino a minacciarlo, alla fine, quando è scoperto e
rincorso, di dargli un calcio nel sedere e farlo volare in cielo, fra le
nuvole, come asserisce e mostra di aver fatto, dopo averlo nascosto ben bene
tra le frasche, con l'asino, del quale finge di attendere la ricaduta in terra da un momento all'altro.
Un canto, a proposito di sfaticati, che in un certo
senso sono persone che attuano una tattica di sabotaggio, una forma che
potrebbe essere assimilata allo sciopero a singhiozzo, parla della raccolta
delle olive, che si colgono
a on' a on' p' d'spitt' du padròn; a tre a
quatt' u padròn cr'p'e shcatt'.
Indicativa, in definitiva, per capire l'animo con
cui il lavoratore dipendente presta la sua opera, è la settimana del salariato
fisso, che, in lingua, suona così:
Lunedì – Andiamo andiamo
Martedì – La settimana tentenna
Mercoledì – Siamo a mezza strada
Giovedì – Scassa settimana
Venerdì – Sta già fatto
Sabato – Ce ne torniamo.
Io sto ad anno, e perciò, Dio mio,
fai piovere quattro o cinque giorni alla settimana;
di sabato fai capitare una festa grande;
la domenica mi tocca di spettanza.
Si tratta, in buona sostanza, di sfaticati che
cercano pretesti per non lavorare, perciò, per loro, vanno bene fest',
mal' timp' e fr'stir' a cast', feste, intemperie, invitati in casa,
tutte occasioni buone, cioè, per restarsene in ozio.
(2 - Continua)
CULTURA
POPOLARE E VITA PAESANA
di
Michelino Dilillo
Estratto
dal volume
«Tradizioni
popolari»
Atti
1° Congresso Internazionale delle Tradizioni Popolari
Metaponto
Lido 23-24 maggio 1986