Montepeloso
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venerdì 12 aprile 2019

CULTURA POPOLARE E VITA PAESANA di Michelino Dilillo - seconda puntata


Al centro della cultura popolare, come della vita paesana, ci sono il lavoro e la famiglia.
Il lavoro, inteso innanzitutto come fatica quotidiana. Ma anche come elemento indispensabile per l'affermazione di sé, della propria persona e per il benessere della famiglia. E mezzo, inoltre, per l'accrescimento di beni, cioè di ricchezze, intese queste quasi sempre come possedimenti di terra. La ricchezza, infatti, o almeno il benessere familiare, è altamente ricercata anche come elemento di distinzione sociale, dal momento che
quann' u marét' jè pauridd', manch' a m'gghiér' u pôut v'dè,
vale a dire che quando il capofamiglia è povero, è inviso persino a sua moglie. Ma soprattutto la ricchezza è mezzo indispensabile di indipendenza economica e sociale, considerato che 
p' u sold' tonn' tonn', vech'- 'n col' a tott' u monn'.
La terra fa la casa, ma la casa non fa la terra, perentoriamente afferma il contadino che mira a divenir prima rampicante, cioè che si arrampica, cercando di salire nella scala sociale, e poi padrone.
E ancora: Due volte l'uomo si mena a crepare (ce la mette tutta, fino a rischio di morire): quando mangia a spese di altri (è invitato a mangiare in casa altrui) e quando lavora per conto proprio. Che è un altro cardine del modo di intendere il lavoro, il quale resta fatica, sforzo improbo e tutto sommato improduttivo quando è prestato a favore di terzi; ma merita ogni impegno, richiede l'accanimento più completo e assoluto quando, invece, è reso a vantaggio proprio e della propria famiglia.
Sul rapporto tra lavoratori e datori di lavoro c'è una vasta letteratura orale, racconti o fatti, barzellette, strofe, proverbi che guardano e rendono conto, sempre in tono burlesco e satirico, ora del padrone esoso e incomprensivo, ora del lavoratore che cerca qualche scorciatoia per scansar fatica.
A questo proposito è famosa la figura Sacrapanz di cui ho già raccontato e quella di Frigolino che incitato a fare il suo dovere di lavoratore, lamenta che gli fa male il piede, mentre alla chiamata per il pranzo risponde: 
mo' m' n' vèngh' chien' chien
Come a dire che per il mangiare, sia pure piano piano, sia pure con tutto il tempo che occorre, trova il modo di muoversi; mentre rimane irrimediabilmente immobile quando bisogna lavorare; si può rammentare anche quella paranza di mietitori che conoscono bene la propria falce e spolpati tutti i cinque pasti, a fine giornata non hanno falciato neppure un metro.

Si tratta, in tutti i casi, di pelle lustra, di gente che non intende sporcarsi pur non rinunciando a passar bene la vita, se non addirittura a spassarsela a danno degli altri. Come avviene, del resto, per mastro Gerardo Acquadighiaccio, al quale non c'è verso di far muovere un dito anche se si proclama assolutamente e incondizionatamente al servizio del padrone, al comando del quale ha sempre la risposta pronta: ci penso io, lascia fare a me, me la vedo io; ma che raggira tanto il bravo e ingenuo Zinannùrch' da portargli via ogni bene mobile; sino a minacciarlo, alla fine, quando è scoperto e rincorso, di dargli un calcio nel sedere e farlo volare in cielo, fra le nuvole, come asserisce e mostra di aver fatto, dopo averlo nascosto ben bene tra le frasche, con l'asino, del quale finge di attendere la ricaduta in  terra da un momento all'altro.
Un canto, a proposito di sfaticati, che in un certo senso sono persone che attuano una tattica di sabotaggio, una forma che potrebbe essere assimilata allo sciopero a singhiozzo, parla della raccolta delle olive, che si colgono 
a on' a on' p' d'spitt' du padròn; a tre a quatt' u padròn cr'p'e shcatt'.
Indicativa, in definitiva, per capire l'animo con cui il lavoratore dipendente presta la sua opera, è la settimana del salariato fisso, che, in lingua, suona così:

Lunedì – Andiamo andiamo
Martedì – La settimana tentenna
Mercoledì – Siamo a mezza strada
Giovedì – Scassa settimana
Venerdì – Sta già fatto
Sabato – Ce ne torniamo.
Io sto ad anno, e perciò, Dio mio,
fai piovere quattro o cinque giorni alla settimana;
di sabato fai capitare una festa grande;
la domenica mi tocca di spettanza.

Si tratta, in buona sostanza, di sfaticati che cercano pretesti per non lavorare, perciò, per loro, vanno bene fest', mal' timp' e fr'stir' a cast', feste, intemperie, invitati in casa, tutte occasioni buone, cioè, per restarsene in ozio.
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(2 - Continua)

CULTURA POPOLARE E VITA PAESANA
di Michelino Dilillo
Estratto dal volume
«Tradizioni popolari»
Atti 1° Congresso Internazionale delle Tradizioni Popolari
Metaponto Lido 23-24 maggio 1986