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anni '30 |
Semini quando vuoi, dice il
proverbio, ma a giugno devi mietere.
Prima si miete l’avena, poi il grano,
poi l’orzo.
Le fave sono già raccolte in biche lunghe ed hanno visto i campi
invasi da stuoli di uomini e donne e ragazzi, chini per tutto il giorno quasi
sempre in silenzio, perché quando si fatica troppo non si può cantare, intenti
a un lavoro molto duro, che la sera ti lascia con le reni spezzate e con le
mani graffiate e sanguinanti.
Per la mietitura la disoccupazione spariva, la
mano d’opera non bastava, gruppi numerosi di mietitori venivano dalla marina
e affollavano la piazza castello, la sera e la mattina, in attesa di promettere,
cioè di essere ingaggiati. La notte dormivano per le strade, in qualche cantina
o pagliaio, nelle masserie se erano stati assunti da grossi coloni fittavoli o
da agrari proprietari. E la giornata, il salario giornaliero
raggiungeva il massimo. C’era gente che doveva vivere tutto l’anno avendo fatti
soltanto l’air, i lavori in aia, oppure i summint, la semina. In
questi lavori non c’era limite di orario, si lavorava da sole a sole, e la
giornata in questa stagione è davvero molto lunga.
Il problema del vitto, il companatico,
diventa perciò, di primaria importanza in queste occasioni. Chi lavora per
tanto tempo e con tanta fatica deve pur sostenersi per rendere. Il padrone,
quindi, fa il suo stesso interesse a somministrare alimenti sostanziosi e
abbondanti ai suoi dipendenti. Non sono stati rari i casi di mietitori morti
per insolazione e anche per indigestione; dopo mesi di fame era difficile,
evidentemente, contenersi; ma a volte erano anche le conseguenze intossicanti
di cibi non sempre di prima qualità.
Durante la mietitura e la trebbiatura si usavano
fare cinque pasti giornalieri: u muzzc, una prima colazione verso
le sette di mattina; a fedd, una seconda colazione più
consistente verso le dieci, il pranzo a mezzogiorno, a murènn, la merenda, al
tramonto; la cena, la minestra calda finalmente, la sera, nella masseria se i
lavoratori pernottavano in campagna, alla casa del padrone se tornavano in
paese.
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