Montepeloso
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venerdì 1 giugno 2018

Montepeloso - a giugno devi mietere

anni '30

Semini quando vuoi, dice il proverbio, ma a giugno devi mietere
Prima si miete l’avena, poi il grano, poi l’orzo. 
Le fave sono già raccolte in biche lunghe ed hanno visto i campi invasi da stuoli di uomini e donne e ragazzi, chini per tutto il giorno quasi sempre in silenzio, perché quando si fatica troppo non si può cantare, intenti a un lavoro molto duro, che la sera ti lascia con le reni spezzate e con le mani graffiate e sanguinanti. 
Per la mietitura la disoccupazione spariva, la mano d’opera non bastava, gruppi numerosi di mietitori venivano dalla marina e affollavano la piazza castello, la sera e la mattina, in attesa di promettere, cioè di essere ingaggiati. La notte dormivano per le strade, in qualche cantina o pagliaio, nelle masserie se erano stati assunti da grossi coloni fittavoli o da agrari proprietari. E la giornata, il salario giornaliero raggiungeva il massimo. C’era gente che doveva vivere tutto l’anno avendo fatti soltanto l’air, i lavori in aia, oppure i summint, la semina. In questi lavori non c’era limite di orario, si lavorava da sole a sole, e la giornata in questa stagione è davvero molto lunga. 
Il problema del vitto, il companatico, diventa perciò, di primaria importanza in queste occasioni. Chi lavora per tanto tempo e con tanta fatica deve pur sostenersi per rendere. Il padrone, quindi, fa il suo stesso interesse a somministrare alimenti sostanziosi e abbondanti ai suoi dipendenti. Non sono stati rari i casi di mietitori morti per insolazione e anche per indigestione; dopo mesi di fame era difficile, evidentemente, contenersi; ma a volte erano anche le conseguenze intossicanti di cibi non sempre di prima qualità.
Durante la mietitura e la trebbiatura si usavano fare cinque pasti giornalieri: u muzzc, una prima colazione verso le sette di mattina; a fedd, una seconda colazione più consistente verso le dieci, il pranzo a mezzogiorno, a murènn, la merenda, al tramonto; la cena, la minestra calda finalmente, la sera, nella masseria se i lavoratori pernottavano in campagna, alla casa del padrone se tornavano in paese. 

Tratto dal libro di 
Michelino Dilillo 

IRSINA 
credenze, usanze, tradizioni montepelosane


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