Montepeloso
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venerdì 27 luglio 2018

Irsina, Il cinema LUCANIA



Il grande cinema Lucania di Irsina dalla metà del secolo scorso, per decenni, ha accompagnato lo sviluppo culturale ed emozionale di varie generazioni di Irsinesi.
In piazza Andrea Costa un’insegna luminosa azzurra, non sempre accesa annunciava “CINEMA”; con gli anni i neon si consumarono e rimasero fortunosamente illuminate le prime quattro lettere “cine” così la scritta dava anche un senso di modernità linguistica alla struttura che pubblicizzava. Il cinema aveva una capienza di 607 posti a sedere e per le proiezioni più attese riusciva a ospitare almeno altri 100 spettatori seduti sulle scale o in piedi poggiati alle pareti.
U c’nm Mauròcc  - si diceva comunemente per distinguerlo dal cinema parrocchiale San Francesco che accoglieva pubblico e monelli nei locali della omonima chiesa nel paese vecchio, e dal Cinema Impero gestito dalla famiglia Loreto in un magazzino a piano terra del palazzo ducale e che era stato in funzione in Piazza Garibaldi sino al 1952, quando fu rilevato e chiuso dai proprietari del Cinema Lucania che già era in attività da circa un anno.
Il Cinema Lucania negli anni ’60 proiettava tutti i migliori film che circolavano nelle sale nazionali, sia pure con qualche mese di ritardo, quando magari le pellicole uscivano dai circuiti di "prima visione" e avevano prezzi di noleggio più abbordabili e durante l’estate dava fondo al meglio della filmografia americana degli anni ‘40 e ‘50. Era una sala di proiezione ben strutturata, con la platea, la galleria, un piccolo foyer dove si sostava non proprio in silenzio ad aspettare l’inizio degli spettacoli, i bagni e una minuscola cabina di proiezione. Il botteghino era in un angolo accanto alla scalinata che portava in galleria dove i primi tre posti centrali erano riservati alle autorità e quindi chiusi da una catenella. Nel corso dell’anno 1965 contò 112.950 spettatori con punte massime nei mesi di dicembre con 14.024 biglietti venduti e di maggio con 13.102 biglietti.
Ci ho visto di tutto in quella sala nei miei primi undici anni di vita e anche oltre: da Ben-Hur a Catene, dai grandi "peplum" a tutti i western classici, Il Grande cielo, Un dollaro d’onore; dalla fantascienza giapponese di Godzilla, ai noire americani e francesi, F.B.I., Rififì, da Totò e Stanlio e Ollio al Dottor Zivago oltre a una infinita serie di pellicole sui pirati.
In platea specie di domenica con il pienone, c'era gazzarra, un via vai continuo di ragazzi che chiassavano e facevano hiss e tres dalle latrine, impegnati in qualche battaglia emulativa delle avventure del film o in qualche scorribanda alternativa se il film era noioso o anche perché lo avevano già visto due volte almeno, per sfruttare al massimo il biglietto pagato. Si andava al cinema anche per vedere il film, spesso a prescindere dal titolo perché era uno svago in sé. In galleria, di sopra, il biglietto costava di più ma si stava più tranquilli. Un poco.
Ogni giorno davano un film diverso, tranne la domenica quando invece ripetevano lo stesso del giorno prima, ma la festa veniva quando la domenica per attirare più spettatori ne davano due di pellicole, due diversi film al prezzo di uno solo, uno dietro l’altro, così davvero al cinema ci si passava il pomeriggio intero sino a sera, per vedere almeno due volte le due pellicole in cartellone. In quei pomeriggi nel cinema accadeva di tutto, battaglie organizzate per la conquista della prima fila, lancio di oggetti, urla varie a chiosare le scene più salienti e l’apoteosi si raggiungeva quando sullo schermo si fermava l’immagine e un puntino della scena si allargava sempre di più verso i bordi del fotogramma: si fondeva la pellicola e l’operatore accendeva subito le luci in sala: i fischi e le urla a quel punto, oltre le invettive all’indirizzo del conosciutissimo uomo alla macchina somigliavano dì più a una sommossa di piazza che a una fruizione della settima arte, tanto che  la maschera, impegnata a tentare di mantenere l’ordine pubblico, spesso concludeva l’inseguimento di qualche scalmanato con una bella pedata di punta o di tacco.
Mi raccontano che quando per la prima volta negli anni ’50 diedero "Catene" con Amedeo Nazzari e Ivonne Sanson, in paese scoppiò una rivoluzione: si faceva la fila fuori della porta del cinema fin dalla mattina e lo proiettarono per molti giorni di seguito, tanto atteso era quell’inguardabile film che faceva versare calde lacrime ai cuori più induriti.
A Irsina, nei primi anni ’60 eravamo in diecimila circa e in alternativa al Lucania c'era il cinema parrocchiale "San Francesco" dove a prezzi stracciati davano film edificanti, Marcellino pane e vino, vite di santi, e qualche Gianni e Pinotto (la retorica delle guerre imperialiste USA in Indocina era considerata edificante) e qualche Zorro tutto spezzettato. Anche la parrocchia dell’Immacolata si era attrezzata per proiettare di tanto in tanto qualche film, ma gratis. Irsina era un paese a forte vocazione comunista e si consumavano tutte le iniziative possibili, in quegli anni di forti frizioni sociali, per tentare di allontanare le coscienze dei ragazzi dalle correnti idee comuniste: da un lato il commissariato di PS con la polizia politica manette e manganello e dall’altro le parrocchie coi filmini Paolini su San Tarcisio. All’Immacolata non chiedevano denaro ma per entrare bisognava esibire un mezzo bigliettino di carta colorata firmato dal prete per ottenere il quale occorreva aver frequentato il catechismo durante la settimana, ed erano inflessibili, le sante donne della canonica: niente catechismo, niente biglietto e quindi niente cinema; a nulla valevano i pianti di bambini che mai avrebbero avuto le 40 lire in tasca per andare al cinema vero e che, fra lo scherno dei compagni in sovrapprezzo, venivano implacabilmente lasciati fuori dal piccolo cinema per opera della bontà divina che animava le pinzochere di quelle sacrestie perché non avevano l’altro mezzo biglietto, o ne avevano solo un pezzetto ricettato e sgualcito, tratto dalla stessa tasca sdrucita dove custodivano nu pizzl, na pret ca taggh e na cendra tort.
Epocale fu intorno al 1965 l’annuncio fra i provini – così chiamavamo i trailers – imminente su questo schermo: “Angelica,” il mitico film del 1964 con Michelle Mercier che narra le vicende amorose di una bellissima contessa e degli intrighi di potere alla corte del Re Sole. Probabilmente qualche scena audace nel trailer aveva ingenerato in paese, specie fra i ragazzini, la convinzione di poter assistere in quel film a succulenti e generosi spettacoli erotici che, in quegli anni, erano non rari, ma praticamente impensabili nell’Italia clericale che sequestrava i film di Pasolini e di Bertolucci e che in TV metteva la calzamaglia alle gambe delle gemelle Kessler. Intendiamoci, trattavasi di scene che oggi trasmetterebbe la rai nazionale alla tivvu dei ragazzi, ma che allora, invece, infuocavano l’immaginazione dei maschi irsinesi con l’ipotalamo surriscaldato dalla pressione ormonale della giovinezza e dalla oppressiva cappa perbenista che animava i costumi dell’epoca.
In quei giorni un fremito scuoteva i maschi del paese di ogni età, dai 7 ai diciassette ai 27 ai 107 anni: ANGELICA! E finalmente il cartellone! Quello grande all’arco di Sant’Eufemia e quello piccolo su corso Musacchio. Sabato e domenica, al cinema Lucania: Angelica. Uno spasmo, l’attesa; fra ragazzini ci si guardava muti, il pomo d’Adamo ballava per deglutire il cuore che se ne era salito in gola: Ouì a Lalòcc, ha fatt già l’ucch’ ròss.
Angelica, prossimamente! E si andava a cinema nei giorni precedenti, per vedere e rivedere il “provino” sperando potesse scappare qualche bella scena intrigante e c’erano quelli che millantavano che la sera prima, sul tardi, l’operatore avesse mandato per sbaglio una scena in più …
Non si parlava d’altro, la tensione era alle stelle e il sabato mattina … la doccia fredda: il manifesto annunciava sì stasera - a grande richiesta ANGELICA, ma una striscia bianca trasversa, per ironia proprio sul petto della bionda Mercier, annunciava – perfida - la fine d’ogni illusione: vietato ai minori di anni 14.
La fila sin dal primo pomeriggio davanti al cinema Lucania era tutta maschile: un film di cappa e spada quale era quel film, un casto fumettone alla Dumas ma molto meno denso di letteratura, inspiegabilmente a Irsina era atteso - manco fosse Emmanuelle l’antivergine di 20 anni più tardi - come la messianica rivoluzione sessuale di Wilhelm Reich.
Alle cinque del pomeriggio, all’inizio del secondo spettacolo, approfittando della ressa che si creava fra quelli che uscivano sgomitando e quelli che aspettavano di entrare sgomitando, compattati ma in ordine sparso tentammo la fortuna sgattaiolando fra stinchi e ginocchia di uomini adulti, acquattati nei sottopancia degli anzianotti col cappello che facevano la faccia indifferente come se stessero in fila dal dottore, provammo a impizzarci, ma la manovra, benché ben studiata, non ebbe successo: la maschera pareva un polipo dalle cento braccia, ci agguantò subito uno per uno e ci buttò sul marciapiede a ruzzolare scarpe e tutto e l’ultimo di noi lo lanciò come si tira una palla al bowling a rotolare sull’asfalto. Qualcuno fra i più alti e grandicelli era riuscito a fronteggiare il bigliettaio giurando di avere i 14 anni richiesti al varco del paradiso ma poi ci raccontò che gli avevano chiesto la carta di identità o un altro documento per dimostrarlo ed era finito fuori in villa a sciucuò u pizzl.
Affranti e sconfitti sciogliemmo il commando e ci ritirammo a casa a meditare sull’ingiustizia e le terribili discriminazioni della vita: se una cosa è bella e piacevole, perche diavolo mai debbano potersela godere solo i più grandi? Prima del terzo spettacolo chiesi, ma con poche speranze, anche a mio padre, assiduo mio compagno di serali proiezioni, di portarmi con sé al cinema e lui promise: lunedì. Andiamoci stasera, gli dissi con finta aria distratta; no, rispose: oggi è proibito. Tante grazie. Mi arresi e rimasi in malinconia sino alla scialba sera della domenica.
Me ne stavo sbuffante a sventolare pagine di Blek Macigno quando a un tratto bussarono alla porta; mamma aprì e accolse due suoi ex alunni che avevano terminato le elementari un paio di anni prima. Mia madre accolse con calore la inusitata visita e dopo brevi convenevoli ne chiese la ragione. I tre si scambiarono un muto sguardo e il più alto prese il fiato ed estratta dalla tasca la pagella sgualcita che aveva ricevuto a fine scuola, propose alla maestra di aggiustare, con la sue stessa grafia, la data di nascita così che potesse risultare esser nato due anni prima e si avventurò a spiegare che gli serviva per andare a fare un lavoro con lo zio che doveva andare alla Germania e che non mandava soldi a casa e che il dramma dell’emigrazione e degli orsi polari in estinzione sulla calotta dell’Anantartico meridionale gli toglieva il sonno anche alla nonna che poi era pure una commara.
Mia madre non la bevve e tanto si mise a insistere con i tre furbacchioni che alla fine u chiù m’ninnaridd confessò che gli serviva per entrare al cinema a vedere Angelica colla carta giusta per dirsi quattordicenni abili e arruolati.
Non la spuntarono.
Poi il paese piano piano prese a svuotarsi: si partiva, si emigrava, già molti dei miei compagni avevano il padre in Germania o a Milano e tanti a Sassuolo. Lì ci avevo un grappolo di zii e quando Tito Stagno commentava lo sbarco sulla Luna io ero proprio a Sassuolo a casa dei miei cugini: loro, tredicenni, andavano al lavoro e io li aspettavo guardando l’allunaggio e decine di film di fantascienza in una vecchia TV in bianco e nero che ogni tanto aveva bisogno di uno schiaffetto sul lato destro per ritrovare l’audio che già subito di nuovo si arrochiva. A sera, dopo cena, andavamo al cinema, un lamione di periferia improvvisato e senza pendenza dove il suono rimbombava: nulla a che fare con il nostro Cinema Lucania. Il cugino che si alzava presto per andare in officina ogni tanto si appisolava, a tredici anni la fatica si sente forse di più, ma spesso era l’audio rombante o la pellicola scadente a far venire il sonno a tutti, mentre sembrava di essere a casa quando si spezzava la pellicola e partivano i fischi e lazzi dalle file ultime vicino i cessi. Una sera davano un film sul martirio di non so più quale santo il cui realismo consisteva nel martirizzare anche gli spettatori con dialoghi avvilenti e lacrimose scene patetiche. A metà del primo tempo la platea era allo stremo dello scassamento umorale e si cominciarono a contare i primi suicidi fra le file sotto il telone: chi si rivoltava nella seggiola di legno, chi sospirava, chi tentava di dormire, chi canticchiava l’ultimo sanremo fino a quando un paesano sbottò dalla platea, si alzo in piedi sulla sedia e con le mani a tromba sulla bocca urlò all’indirizzo della proiezione sassolese:
Stivali’, mitt o secònd !!”
E ci sentimmo subito a casa.
I miei compagni di un tempo avevano raggiunto padri e fratelli a Sassuolo, a Novi Ligure, a Torino, a Parma a Pisa e io andai a Matera con la famiglia sin dal 1967. Per tutti gli anni ’70 tornare a Irsina era una festa e un dolore, un lancinante dispiacere e un abbraccio intenso con chi ancora stava là. Natale, agosto, Sant’Eufemia. Non sempre. Sempre più di rado. Tutti.
Gli anni ’80 con il proliferare dei canali TV, furono fatali per centinaia di sale di proiezione cinematografica che per sopravvivere, dopo infinite sequele di pessimi film di Kung-fu sulla scia del mito (inspiegabile mito di uno bravo nientemeno che a dare acrobatiche mazzate al prossimo) di Bruce Lee, si ridussero a proiettare avvilenti pellicole porno che attiravano un pubblico sempre più ristretto e sparuto e infine chiusero del tutto. La gente rimaneva in casa a vedere la pubblicità sulle emittenti di B. e poi anche sulla Rai e non andava più al cinema. Chiuse il cinema Lucania di Irsina, a Matera chiuse il Quinto mentre interventi della mano pubblica consentirono ad altre sale di rimanere attive, sia pure solo per proiezioni festive; ma il fascino della sala buia ormai attirava pochi fedeli cinefili resi meno assidui anche dall'assurdo divieto di fumare in quei locali in vigore oramai dal 1975.
Uno dei ricordi più belli della mia infanzia cinefila è il raggio di proiezione che dalla galleria si slanciava in basso dalla balconata sulla platea a colpire lo schermo bianco; i raggi cangiavano colore e le volute di fumo di sigarette che volava libero nella sala disegnavano fra quei raggi mobili, meravigliosi arabeschi colorati che a volte materializzavano un viso, a volte un cane, a volte una nave, un vapore pieno di gente che parte: un film nel film sull’onda della fantasia. Il Cinema Lucania è stato per gli Irsinesi del secondo novecento la materia dei sogni, la lanterna magica della conoscenza e dell’immaginario, la cassa di risonanza delle emozioni: un eccezionale momento di crescita culturale della nostra comunità.
Ora al posto del cinema Lucania ci sta un supermercato. 
Non ci sono mai entrato, non potrei: la commozione mi ucciderebbe.


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