Il grande cinema Lucania di
Irsina dalla metà del secolo scorso, per decenni, ha accompagnato lo sviluppo
culturale ed emozionale di varie generazioni di Irsinesi.
In piazza Andrea
Costa un’insegna luminosa azzurra, non sempre accesa annunciava “CINEMA”; con gli anni i neon si
consumarono e rimasero fortunosamente illuminate le prime quattro lettere “cine”
così la scritta dava anche un senso di modernità linguistica alla struttura che
pubblicizzava. Il cinema aveva una capienza di 607 posti a sedere e per le proiezioni
più attese riusciva a ospitare almeno altri 100 spettatori seduti sulle scale o
in piedi poggiati alle pareti.
U c’nm Mauròcc - si diceva
comunemente per distinguerlo dal cinema parrocchiale San Francesco che
accoglieva pubblico e monelli nei locali della omonima chiesa nel paese
vecchio, e dal Cinema Impero gestito dalla famiglia Loreto in un magazzino a
piano terra del palazzo ducale e che era stato in funzione in Piazza Garibaldi
sino al 1952, quando fu rilevato e chiuso dai proprietari del Cinema Lucania
che già era in attività da circa un anno.
Il Cinema
Lucania negli anni ’60 proiettava tutti i migliori film che circolavano nelle sale nazionali, sia pure con qualche
mese di ritardo, quando magari le pellicole uscivano dai circuiti di "prima visione" e avevano prezzi di
noleggio più abbordabili e durante l’estate dava fondo al meglio della
filmografia americana degli anni ‘40 e ‘50. Era una sala di proiezione ben
strutturata, con la platea, la
galleria, un piccolo foyer dove si sostava non proprio in silenzio ad aspettare
l’inizio degli spettacoli, i bagni e una minuscola cabina di proiezione. Il botteghino era in un angolo accanto
alla scalinata che portava in galleria dove i primi tre posti centrali erano
riservati alle autorità e quindi chiusi da una catenella. Nel corso dell’anno 1965
contò 112.950 spettatori con punte massime nei mesi di dicembre con 14.024
biglietti venduti e di maggio con 13.102 biglietti.
Ci ho visto di
tutto in quella sala nei miei primi undici anni di vita e anche oltre: da Ben-Hur a Catene, dai grandi "peplum" a tutti i western classici, Il Grande cielo, Un
dollaro d’onore; dalla fantascienza giapponese di Godzilla, ai noire americani e francesi, F.B.I., Rififì, da Totò e Stanlio e Ollio al Dottor Zivago oltre a una infinita serie di pellicole sui pirati.
In platea specie
di domenica con il pienone, c'era gazzarra, un via vai continuo di ragazzi che
chiassavano e facevano hiss e tres dalle latrine,
impegnati in qualche battaglia emulativa delle avventure del film o in qualche
scorribanda alternativa se il film era noioso o anche perché lo avevano già
visto due volte almeno, per sfruttare al massimo il biglietto pagato. Si andava
al cinema anche per vedere il film, spesso a prescindere dal titolo
perché era uno svago in sé. In galleria, di sopra, il biglietto costava di più
ma si stava più tranquilli. Un poco.
Ogni giorno
davano un film diverso, tranne la domenica quando invece ripetevano lo stesso
del giorno prima, ma la festa veniva quando la domenica per attirare più
spettatori ne davano due di pellicole, due
diversi film al prezzo di uno solo, uno dietro l’altro, così davvero al
cinema ci si passava il pomeriggio intero sino a sera, per vedere almeno due
volte le due pellicole in cartellone. In quei pomeriggi nel cinema accadeva di
tutto, battaglie organizzate per la conquista della prima fila, lancio di
oggetti, urla varie a chiosare le scene più salienti e l’apoteosi si raggiungeva
quando sullo schermo si fermava l’immagine e un puntino della scena si
allargava sempre di più verso i bordi del fotogramma: si fondeva la pellicola e
l’operatore accendeva subito le luci in sala: i fischi e le urla a quel punto,
oltre le invettive all’indirizzo del conosciutissimo uomo alla macchina
somigliavano dì più a una sommossa di piazza che a una fruizione della settima
arte, tanto che la maschera, impegnata a
tentare di mantenere l’ordine pubblico, spesso concludeva l’inseguimento di qualche
scalmanato con una bella pedata di punta o di tacco.
Mi raccontano
che quando per la prima volta negli anni ’50 diedero "Catene" con Amedeo
Nazzari e Ivonne Sanson, in
paese scoppiò una rivoluzione: si faceva la fila fuori della porta del cinema fin
dalla mattina e lo proiettarono per molti giorni di seguito, tanto atteso era
quell’inguardabile film che faceva versare calde lacrime ai cuori più induriti.
A Irsina, nei
primi anni ’60 eravamo in diecimila circa e in alternativa al Lucania c'era il cinema parrocchiale "San
Francesco" dove a prezzi stracciati davano film edificanti, Marcellino pane e vino, vite di santi,
e qualche Gianni e Pinotto (la
retorica delle guerre imperialiste USA in Indocina era considerata edificante)
e qualche Zorro tutto spezzettato.
Anche la parrocchia dell’Immacolata si era attrezzata per proiettare di tanto
in tanto qualche film, ma gratis. Irsina era un paese a forte vocazione
comunista e si consumavano tutte le iniziative possibili, in quegli anni di
forti frizioni sociali, per tentare di allontanare le coscienze dei ragazzi
dalle correnti idee comuniste: da un lato il commissariato di PS con la polizia
politica manette e manganello e dall’altro le parrocchie coi filmini Paolini su
San Tarcisio. All’Immacolata non chiedevano denaro ma per entrare bisognava
esibire un mezzo bigliettino di carta colorata firmato dal prete per ottenere
il quale occorreva aver frequentato il catechismo
durante la settimana, ed erano inflessibili, le sante donne della canonica:
niente catechismo, niente biglietto e quindi niente cinema; a nulla valevano i
pianti di bambini che mai avrebbero avuto le 40 lire in tasca per andare al
cinema vero e che, fra lo scherno dei compagni in sovrapprezzo, venivano
implacabilmente lasciati fuori dal piccolo cinema per opera della bontà divina
che animava le pinzochere di quelle sacrestie perché non avevano l’altro mezzo
biglietto, o ne avevano solo un pezzetto ricettato e sgualcito, tratto dalla stessa
tasca sdrucita dove custodivano nu pizzl, na pret ca taggh e na cendra tort.
Epocale fu
intorno al 1965 l’annuncio fra i provini – così chiamavamo i trailers
– imminente su questo schermo: “Angelica,” il mitico film del 1964 con Michelle Mercier che
narra le vicende amorose di una bellissima contessa e degli intrighi di potere
alla corte del Re Sole. Probabilmente qualche scena audace nel trailer aveva
ingenerato in paese, specie fra i ragazzini, la convinzione di poter assistere
in quel film a succulenti e generosi spettacoli erotici che, in quegli anni,
erano non rari, ma praticamente impensabili nell’Italia clericale che
sequestrava i film di Pasolini e di Bertolucci e che in TV metteva la
calzamaglia alle gambe delle gemelle
Kessler. Intendiamoci, trattavasi di scene che oggi trasmetterebbe la rai
nazionale alla tivvu dei ragazzi, ma che allora, invece, infuocavano
l’immaginazione dei maschi irsinesi con l’ipotalamo surriscaldato dalla pressione
ormonale della giovinezza e dalla oppressiva cappa perbenista che animava i
costumi dell’epoca.
In quei giorni un
fremito scuoteva i maschi del paese di ogni età, dai 7 ai diciassette ai 27 ai
107 anni: ANGELICA! E finalmente il
cartellone! Quello grande all’arco di Sant’Eufemia e quello piccolo su corso
Musacchio. Sabato e domenica, al cinema Lucania: Angelica. Uno spasmo,
l’attesa; fra ragazzini ci si guardava muti, il pomo d’Adamo ballava per
deglutire il cuore che se ne era salito in gola: Ouì a Lalòcc, ha fatt già l’ucch’
ròss.
Angelica, prossimamente! E si andava a cinema nei giorni precedenti, per vedere e
rivedere il “provino” sperando potesse scappare qualche bella scena intrigante
e c’erano quelli che millantavano che la sera prima, sul tardi, l’operatore avesse
mandato per sbaglio una scena in più …
Non si parlava
d’altro, la tensione era alle stelle e il sabato mattina … la doccia fredda: il
manifesto annunciava sì stasera - a grande richiesta ANGELICA,
ma una striscia bianca trasversa, per ironia proprio sul petto della bionda
Mercier, annunciava – perfida - la
fine d’ogni illusione: vietato ai minori
di anni 14.
La fila sin dal
primo pomeriggio davanti al cinema Lucania era tutta maschile: un film di cappa
e spada quale era quel film, un casto fumettone alla Dumas ma molto meno denso
di letteratura, inspiegabilmente a Irsina era atteso - manco fosse Emmanuelle
l’antivergine di 20 anni più tardi - come la messianica rivoluzione sessuale di Wilhelm
Reich.
Alle cinque del
pomeriggio, all’inizio del secondo spettacolo, approfittando della ressa che si
creava fra quelli che uscivano sgomitando e quelli che aspettavano di entrare
sgomitando, compattati ma in ordine sparso tentammo la fortuna sgattaiolando
fra stinchi e ginocchia di uomini adulti, acquattati nei sottopancia degli
anzianotti col cappello che facevano la faccia indifferente come se stessero in
fila dal dottore, provammo a impizzarci, ma la manovra, benché ben studiata, non ebbe successo: la
maschera pareva un polipo dalle cento braccia, ci agguantò subito uno per uno e
ci buttò sul marciapiede a ruzzolare scarpe e tutto e l’ultimo di noi lo lanciò
come si tira una palla al bowling a rotolare sull’asfalto. Qualcuno fra i più
alti e grandicelli era riuscito a fronteggiare il bigliettaio giurando di avere
i 14 anni richiesti al varco del paradiso ma poi ci raccontò che gli avevano
chiesto la carta di identità o un altro documento per dimostrarlo ed era finito
fuori in villa a sciucuò u pizzl.
Affranti e
sconfitti sciogliemmo il commando e ci ritirammo a casa a meditare
sull’ingiustizia e le terribili discriminazioni della vita: se una cosa è bella
e piacevole, perche diavolo mai debbano potersela godere solo i più grandi? Prima
del terzo spettacolo chiesi, ma con poche speranze, anche a mio padre, assiduo
mio compagno di serali proiezioni, di portarmi con sé al cinema e lui promise:
lunedì. Andiamoci stasera, gli dissi con finta aria distratta; no, rispose:
oggi è proibito. Tante grazie. Mi
arresi e rimasi in malinconia sino alla scialba sera della domenica.
Me ne stavo
sbuffante a sventolare pagine di Blek Macigno quando a un tratto bussarono alla
porta; mamma aprì e accolse due suoi ex alunni che avevano terminato le elementari
un paio di anni prima. Mia madre accolse con calore la inusitata visita e dopo
brevi convenevoli ne chiese la ragione. I tre si scambiarono un muto sguardo e
il più alto prese il fiato ed estratta dalla tasca la pagella sgualcita che
aveva ricevuto a fine scuola, propose alla maestra di aggiustare, con la sue
stessa grafia, la data di nascita così che potesse risultare esser nato due
anni prima e si avventurò a spiegare che gli serviva per andare a fare un
lavoro con lo zio che doveva andare alla Germania e che non mandava soldi a
casa e che il dramma dell’emigrazione e degli orsi polari in estinzione sulla
calotta dell’Anantartico meridionale gli toglieva il sonno anche alla nonna che
poi era pure una commara.
Mia madre non la
bevve e tanto si mise a insistere con i tre furbacchioni che alla fine u
chiù m’ninnaridd confessò che gli serviva per entrare al cinema a
vedere Angelica colla carta giusta per dirsi quattordicenni abili e arruolati.
Non la
spuntarono.
Poi il paese
piano piano prese a svuotarsi: si partiva, si emigrava, già molti dei miei
compagni avevano il padre in Germania o a Milano e tanti a Sassuolo. Lì ci avevo un grappolo di zii e quando Tito Stagno commentava lo sbarco sulla Luna io ero proprio a Sassuolo a casa
dei miei cugini: loro, tredicenni, andavano al lavoro e io li aspettavo
guardando l’allunaggio e decine di film di fantascienza in una vecchia TV in
bianco e nero che ogni tanto aveva bisogno di uno schiaffetto sul lato destro
per ritrovare l’audio che già subito di nuovo si arrochiva. A sera, dopo cena,
andavamo al cinema, un lamione di periferia improvvisato e senza pendenza dove
il suono rimbombava: nulla a che fare con il nostro Cinema Lucania. Il cugino
che si alzava presto per andare in officina ogni tanto si appisolava, a tredici
anni la fatica si sente forse di più, ma spesso era l’audio rombante o la
pellicola scadente a far venire il sonno a tutti, mentre sembrava di essere a
casa quando si spezzava la pellicola e partivano i fischi e lazzi dalle file
ultime vicino i cessi. Una sera davano un film sul martirio di non so più quale
santo il cui realismo consisteva nel martirizzare anche gli spettatori con
dialoghi avvilenti e lacrimose scene patetiche. A metà del primo tempo la
platea era allo stremo dello scassamento umorale e si cominciarono a contare i
primi suicidi fra le file sotto il telone: chi si rivoltava nella seggiola di
legno, chi sospirava, chi tentava di dormire, chi canticchiava l’ultimo sanremo
fino a quando un paesano sbottò dalla platea, si alzo in piedi sulla sedia e
con le mani a tromba sulla bocca urlò all’indirizzo della proiezione sassolese:
“Stivali’, mitt o secònd !!”
E ci sentimmo
subito a casa.
I miei compagni
di un tempo avevano raggiunto padri e fratelli a Sassuolo, a Novi Ligure, a
Torino, a Parma a Pisa e io andai a Matera con la famiglia sin dal 1967. Per
tutti gli anni ’70 tornare a Irsina era una festa e un dolore, un lancinante
dispiacere e un abbraccio intenso con chi ancora stava là. Natale, agosto,
Sant’Eufemia. Non sempre. Sempre più di rado. Tutti.
Gli anni ’80 con
il proliferare dei canali TV, furono fatali per centinaia di sale di proiezione
cinematografica che per sopravvivere, dopo infinite sequele di pessimi film di
Kung-fu sulla scia del mito (inspiegabile mito di uno bravo nientemeno che a
dare acrobatiche mazzate al prossimo) di Bruce Lee, si ridussero a proiettare
avvilenti pellicole porno che attiravano un pubblico sempre più ristretto e
sparuto e infine chiusero del tutto. La gente rimaneva in casa a vedere la
pubblicità sulle emittenti di B. e poi anche sulla Rai e non andava più al
cinema. Chiuse il cinema Lucania di Irsina, a Matera chiuse il Quinto mentre
interventi della mano pubblica consentirono ad altre sale di rimanere attive,
sia pure solo per proiezioni festive; ma il fascino della sala buia ormai
attirava pochi fedeli cinefili resi meno assidui anche dall'assurdo divieto di
fumare in quei locali in vigore oramai dal 1975.
Uno dei ricordi
più belli della mia infanzia cinefila è il raggio di proiezione che dalla
galleria si slanciava in basso dalla balconata sulla platea a colpire lo
schermo bianco; i raggi cangiavano colore e le volute di fumo di sigarette che
volava libero nella sala disegnavano fra quei raggi mobili, meravigliosi
arabeschi colorati che a volte materializzavano un viso, a volte un cane, a
volte una nave, un vapore pieno di gente che parte: un film nel film sull’onda
della fantasia. Il Cinema Lucania è stato per gli Irsinesi del secondo novecento
la materia dei sogni, la lanterna magica della conoscenza e dell’immaginario,
la cassa di risonanza delle emozioni: un eccezionale momento di crescita
culturale della nostra comunità.
Ora al posto del
cinema Lucania ci sta un supermercato.
Non ci sono mai entrato, non potrei: la
commozione mi ucciderebbe.
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