Novembre è il mese dei morti.
Il 31 ottobre ci sono stati gli ultimi matrimoni,
approfittando della circostanza che per Ognissanti si può ancora festeggiare.
Poi: viene la notte.
Secondo la tradizione montepelosana i morti continuano a
vivere in un altro mondo, definito Purgatorio, con evidente richiamo
alla terminologia cattolica, ma senza alcun riferimento effettivo all’aldilà
cristiano; il riferimento è piuttosto all’Ade, al pagano mondo dei morti,
genericamente inteso.
I morti sono le anime del Purgatorio. Ma anime del Purgatorio sono
anche i mendicanti che chiedono l’elemosina di casa in casa ed ai quali è
scorretto rifiutare l’opera di carità, specialmente il 2 novembre, nel quale
giorno si preparano apposta per loro i fef crétt, un paiolo di fave
lesse, una sorta di cibo rituale dalle origini antichissime. Nei culti pagani dell'antichità, infatti, si riteneva che le fave contenessero le anime dei trapassati.
Per Ognissanti in casa si preparava anche a cuccéia, una gustosa minestra di chicchi
di grano bolliti e conditi pu m’rcutt,
delizia per grandi e piccini destinata a essere offerta ai visitatori viventi o ad anime di passaggio.
Proprio la notte del giorno dei morti, alla mezzanotte in
punto tra il primo e il due novembre, tutti i morti percorrono in processione
le vie del cielo. Allora è possibile vederli, a determinate condizioni e
riconoscere fra loro l’ombra dei propri morti, se si è particolarmente
fortunati e predisposti. Ma il cielo deve essere sereno, e all'esperimento non
deve assistere gente incredula.
La processione si vedrà, insieme alla volta
celeste, riflessa nell'acqua limpida di un catino poggiato su di una sedia,
all'aperto, illuminato dalla luce di due o tre candele accese che ardano
tranquillamente, la cui fiamma, cioè, non sia mossa o peggio spenta dal vento.
Il rituale era molto suggestivo, i bambini ammutolivano e fissavano l’acqua
tremolante nel catino stringendosi l’uno all'altro per l’emozione che si prova
di fronte a un sortilegio.
I morti
continuano ad avere relazioni con i vivi, rientrano nel loro mondo di affetti e
di risentimenti, di preoccupazioni e di sollecitazioni nelle forme e nei modi
più diversi e impensati. Specialmente attraverso i sogni. Nel sogno i vivi
incontrano i loro cari defunti, le buone anime, le anime del Purgatorio e ne
ricevono consigli e rimproveri, richieste di penitenze e ordini di vendetta, numeri
al lotto, preannunci di fatti lieti o tristi che si verificheranno nella nuova
giornata o nei prossimi giorni. Tutti i sogni, naturalmente, vanno
interpretati, e principalmente è buona norma non raccontarli a digiuno, a
scanso di spiacevoli conseguenze. Così, sognare uva è sempre male, nera
significa lutto, bianca vuol dire lacrime. Sognare dolci è sempre nefasto,
maggiormente se si sogna mangiarli. Sognare morta una persona viva invece, si
risolve a vantaggio del sognato: gli accresce gli
anni.
Il giorno dopo comincia il continuo via vai per il camposanto.
Si va al cimitero in gruppo di amiche o di amici, a volte familiari. Qui si fa
la visita al tumulo, si lasciano i crisantemi, si accendono i lumini; pianti,
lamenti, ferite e dolori che si riaprono e diventano vivi come se fossero di
oggi. Poi si va in giro a visitare i tumuli e le tombe degli altri. Ci si
ricorda di un amico, di un conoscente, di un lontano parente e gli si va a fare
la visita. Si apprezzano le costruzioni gentilizie, i monumenti
funebri, le lapidi, si fanno paragoni e commenti, e anche pettegolezzi che si
concludono quasi sempre con la considerazione più ovvia: tutti là andremo a finire.
E là,
significa all'altro mondo; come tu eri, noi siamo; come tu sei, noi
saremo.
Chi può, però anche chi non può, certe volte, fa di tutto per
avere la sua tomba magari con la lapide già segnata del nome, cognome e data di
nascita. Basterà aggiungere l’ultima data.
Per assicurarsi una tomba, un loculo, molti aderivano a una
delle tante confraternite istituite, nei secoli scorsi, nelle diverse chiese di
Montepeloso, denominate nei modi più vari. Quella che forse esiste tuttora,
appunto perché ha una tomba propria al cimitero, nella quale garantisce un
posto ai confratelli, è la congrega degli artigiani,
istituita, nella chiesa di San Filippo Neri, da lungo tempo chiusa al culto. Intorno
al 1715 dallo stesso fondatore, fu istituita la congrega dei contadini,
anch'essa ancora esistente, almeno di nomina, ed allogata nella stessa chiesa
dell’Annunziata dove fu istituita. Entrambe le congreghe offrivano la
possibilità di guadagnare qualche cosa, ogni tanto, ai propri adepti, quando
erano invitate ad accompagnare i morti delle famiglie ricche dietro compenso.
Il culto dei morti è molto vivo e rispettato. Ma anche nella
morte finisce per entrare la vanità, come, del resto, in tutto il mondo. Così si
farà di tutto per chiedere la previtina, o almeno la mezza
previtina, o anche soltanto il capitolo. Per previtina si intende
l’accompagnamento di tutti i membri del clero locale con i paramenti rituali,
per mezza
previtina s’intende l’accompagnamento della metà dei membri del clero,
con paramenti rituali, per capitolo s’intende l’accompagnamento
di tutti i membri del capitolo, ma senza i paramenti sacri. Altra distinzione
si nota nella scelta della porta della cattedrale da cui la bara è fatta
entrare ed uscire dalla chiesa: si paga di più per entrare dalla porta centrale
e di meno se si entra da quella laterale. E ancora: i funerali di lusso, per
andare dalla chiesa al cimitero, passano da piazza Garibaldi e Via Roma; gli
altri per via Santa Chiara, largo Santa Caterina, largo e via Roma; gli altri
per via Santa Chiara, largo Santa Caterina, largo e via S.S. Salvatore. Solo i
poveri vanno con l’amore di Dio, con l’accompagnamento cioè, di un solo
sacerdote, il parroco, e ricevono la benedizione non nella cattedrale, ma nella
parrocchia.
Dopo il Concilio Vaticano II sono state stabilite forme più
snelle di funerali che escludono, almeno in teoria, diversità di riti in cambio
di diverso pagamento. Ma la vanità si appunta su altri elementi e le differenze
permangono.
A proposito di cimiteri, forse conviene ricordare che Montepeloso
ebbe un proprio camposanto sin dal 1842, privilegio, a quell'epoca, di ben
pochi comuni della regione. Soltanto un anno prima, infatti, lo avevano avuto i
due capoluoghi, rispettivamente di provincia e di distretto, Potenza e Matera (vedi:
Tommaso Pedio, La Basilicata nel risorgimento politico italiano – Potenza,
1962).
Il Pani Rossi in La Basilicata, opera del 1868 scrive: "Ma
ancora dopo il 1860 a Montepeloso, la umana ribalderia sfruttava la singolarità
di un suolo umettato di cadaveri, tanto che se ne avevano poponi ed erbaggi
meravigliosi"; e secondo Umberto Zanotti Bianco, (La Basilicata, Roma,
1926, pp.39-40) il cimitero di Montepeloso serviva da orto ancora nel 1889.
A proposito di funerali, è significativa la “Circolare circa
la benedizione dei cadaveri poveri”, del 1840 (in Archivio vescovile di
Montepeloso-Irsina, n. 279 del catalogo), con la quale le autorità costituite
avevano dovuto richiamare piuttosto energicamente il clero di Montepeloso che
si rifiutava di benedire i cadaveri dei poveri perché i loro eredi non potevano
pagare.
Tratto dal libro di