Montepeloso
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lunedì 28 gennaio 2019

Gennaio nella tradizione montepelosana


Si può formulare un vero e proprio calendario delle credenze, delle superstizioni, dei proverbi paesani, illustrato ampiamente da fatti e figure ambientali che danno vita a quelle norme di comportamento, a quella specie di codice non scritto che regola la vita dell’Irsinese ancora oggi.

L’anno comincia con la strenna di capodanno, regolata da ben precise norme, elencate in una filastrocca il cui inizio suona così:

Cap d’ann, cap d mes
Damm a strenn ca m’è prumés

Capo d’anno, capo di mese,
dammi la strenna che m’hai promessa.

La strenna è un regalo che sono tenuti a fare ai loro comparelli, coloro che li tennero a battesimo o fecero loro da padrini alla cresima.

E subito dopo, alla fine del mese, le prime osservazioni di carattere meteorologico.

Il 25 gennaio, è celebrata dalla chiesa la conversione di San Paolo. Quella sera i contadini scrutano attentamente il cielo, per scorgervi i segni del tempo che farà nei prossimi mesi, fino alla terza brillante, cioè ai primi tre giorni di aprile, il cui responso sarà valido, a sua volta, fino alla Santa Croce, il 3 maggio e da quel giorno fino a San Giovanni (24 giugno), e così via, per responsi successivi, fino alla Bruna, la protettrice di Matera, il 2 luglio.

Nel mese di gennaio i ragazzi fanno giochi calmi, in luogo chiuso per via del freddo e della neve;
nei primi giorni dell’anno giocano a v’rròzz’l’: si mette una monetina in equilibrio su di un ditale, per terra, ai piedi di un piano inclinato costituito da una tavola del pane o del ròccolo. A turno i ragazzi fanno rotolare una noce per ciascuno, con obiettivo il ditale e la monetina. Chi, con la sua noce, riesce a colpire il ditale e a far cadere la moneta, vince la partita e si appropria di tutte le noci che sono per terra.

Fino a pochi anni fa si giocava o strom’l cioè alla trottola, ed era una vera arte preparare la ièff’l, la lenza per farla girare; a cavàdd’ sott, a salt’a’nnant’, o pèn’cutt’, alla pesca dei soldatini di carta.

Ma soprattutto, gli anziani, qualche volta le mamme e per lo più i nonni, raccontavano lunghe favole che facevano pendere i ragazzi dalle loro labbra.

Ricorrevano più frequentemente u fatt d Zînz’ l’ sètt’ b’ll’zz’, che fuggiva di casa per seguire il suo innamorato in tante strabilianti e inverosimili avventure in luoghi e circostanze popolate di mostri, di animali feroci, di orchi e di maghe; e altri racconti della tradizione napoletana, specialmente quelli da cui trasse origine la raccolta di Giambattista Basile, il Pentamerone.

Più paesana a quanto sembra, è, invece la storia di Zinannurc’ (Zio/nonno Orco?), l’orco benevolo che premiava la sincerità e l’onestà, e puniva la menzogna e la cattiveria.
Tratto dal libro di 





Michelino Dilillo 






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