Montepeloso
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sabato 29 settembre 2018

ottobre nelle tradizioni di Montepeloso


Ottobre è il mese della vendemmia, e questa era una festa ad Irsina.
Solo i grandi proprietari assumevano personale a giornata: le donne per tagliare l’uva, i giovani per trasportarla fino al luogo della pigiatura, che veniva solitamente affidata ai piedi dei ragazzi; uomini vetturali, che con bestie da soma, qualche volta col traino, trasportavano nell’abitato, dove sono le cantine, i barili di mosto e i vùtini (bigonce) di vinaccia che vuotavano, mescolandoli, nel grande tino della vinnegna. I piccoli e piccolissimi proprietari non assumevano mai personale a pagamento per il taglio dell’uva. Bastava invitare le donne e le giovani del parentado e del vicinato. Del resto, questo lavoro a volte si faceva a ritenna, prestandosi, cioè, le opere a vicenda, quante giornate fai a me, tante io ne faccio a te. Ma per lo più la partecipazione era gratuita. Anzi, ci si offendeva se non si era invitati alla vendemmia del vicino di casa o dell’amico o del parente. E ciò perché la vendemmia era una festa. Si lavorava sodo, ma si cantava si lanciavano lazzi e frizzi, si scherzava, ci si divertiva, insomma, e giovanotti e giovanette avevano più libertà del solito. Il lavoro, per quanto duro, lo permetteva. La spesa, naturalmente, era assicurata, a carico del padrone della vigna; ed anche questa era una buona ragione per aspirare all'invito. Altro segno se ce ne fosse bisogno, della miseria e della fame, che spingeva ad affrontare una giornata di lavoro solo per riempirsi la pancia. Solo p’a‘ventr, si mandavano i bambini in campagna, dai sei – sette anni in poi, a fare i pastorelli o i supafasc, servitorelli tuttofare nelle masserie. Insomma, p’a‘ventr significava che quei bambini, per tutta la fatica cui erano sottoposti avevano diritto solo a NUTRIRSI PER QUEL GIORNO, mentre non avevano diritto alcuno ad un qualunque salario.

C’è un’altra occasione, che riguarda sempre la vigna, in cui si lavora e si festeggia come durante la vendemmia, ed è quando si va a piantare il pàstino, cioè un vigneto nuovo. Prima vanno gli operai specialisti, i quali fanno l’allineamento, appuntano delle cannicelle in linee parallele, tutte alla stessa distanza a segnare il posto dove mettere a dimora le viti. Poi, alcuni giorni dopo si va a piantare il pàstino. C’è chi, con un enorme piantatore, pratica delle buche profonde, e chi, al suo seguito, pianta una barbatella nel foro praticato. Altri ancora adacquano, cioè innaffiano ben bene il terreno in cui la nuova vite è stata messa a dimora; ed altri, con la zappa, accùfnèsc’n, cioè ammucchiano il terreno intorno alla nuova pianta. Si canta e si scherza, anche in questa occasione, e soprattutto si lavora e si mangia, cioè si lavorava e si mangiava gratis tre volte al giorno, a colazione, a pranzo e la sera, a cena, in casa del padrone, dove si svolgeva un vero e proprio banchetto.

Tratto dal libro di 

Michelino Dilillo 



IRSINA 
credenze, usanze, tradizioni montepelosane


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