Montepeloso
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sabato 26 ottobre 2019

Religiosità popolare e pensiero magico a Montepeloso fra Ottocento e Novecento – 1^ puntata


Lo spirito religioso degli Irsinesi è stato, almeno nel XIX secolo, piuttosto scarso, malgrado che alla fine del Settecento il clero di Montepeloso contasse poco meno di un centinaio di membri tra abati, cappellani, diaconi, suddiaconi, chierici e novizi; oltre, s’intende, agli ospiti dei conventi, soppressi successivamente, nel 1809, e che allora erano quattro:
il Real Convento dei Minori Conventuali di San Francesco d’Assisi in Montepeloso sorto, secondo una tradizione, per opera dello stesso San Francesco, nell'attuale chiesa a lui intitolata, e nei locali annessi, al largo Plebiscito, nel 1228, ma costituito ufficialmente solo nel 1531;
il Cenobio di San Vito dell’Ordine degli Eremiti di Sant’Agostino, allocato nell’attuale chiesa di Sant’Agostino e nei locali adiacenti la cui fondazione è fatta risalire al periodo che va dal 1531 al 1570;
il Convento dei Cappuccini, il quale, fondato nel 1570 in locali ormai scomparsi e siti in zona ancora detta dei Cappuccini, e soppresso nel 1809 rivisse per qualche anno, nel 1860, ad opera di pochi elementi, i quali lo abbandonarono ben presto segno evidente del cambiamento dei tempi;
convento S. Chiara
il Convento delle monache di Santa Chiara, fondato tra il 1655 e il 1674, come si desume da alcuni documenti, a che visse di vita stentata fino ai giorni nostri, si può dire, nei locali che furono abbattuti, tra il 1934 e il 1937, per costruirvi l’attuale edificio scolastico di piazza Garibaldi. Quest’ultimo convento non dovette essere proprio un modello di carità e di pietà religiosa se, come riferisce lo stesso Janora, molti inconvenienti vi si verificarono e furono rilevati dagli stessi superiori ecclesiastici. 
San Nicola de Morgitiis

Attualmente il clero irsinese conta meno di dieci membri. Molte chiese sono chiuse o risultano scomparse (San Filippo, nel quartiere San Filippo; San Nicola dei poveri; della Madonna dei Martiri, fuori Portarenacea; Santa Maria Nuova di Juso, fuori la Porticella), altre sono aperte solo nominalmente ed occasionalmente (Addolorata, Annunziata; San Nicola de Morgitiis, in largo San Nicola; Sant’Andrea; S.S. Salvatore; Purgatorio; San Rocco; Calvario; Madonna della Pietà; Santa Maria d’Irsi).

S Giuseppe - Taccone
Funzionano (1965) regolarmente soltanto le parrocchie: Cattedrale, San Francesco, Sant'Agostino, Immacolata, San Giuseppe. Le due ultime sono di nuova istituzione: la prima costruita al nuovissimo rione Croci, sul posto dove sorgeva l’abbeveratoio comunale; la seconda nel borgo Taccone, ormai disabitato e abbandonato. 
Lo spirito religioso non è molto più vivo di quanto fosse un secolo fa, malgrado lo spirito d’iniziativa di alcuni giovani sacerdoti. I nostri vicini Altamurani raccontano una storiella che dovrebbe dimostrare la scarsa intelligenza degli Irsinesi. Essa, al contrario, denota spirito realistico e, se mai, conferma il modesto senso fideistico dei Montepelosani. Dice la storiella che una volta gli Irsinesi vollero mettere alla prova l’esistenza di Dio e perciò modellarono un Cristo di neve. Poi lo misero in un forno ben riscaldato per controllare se conservasse, per miracolo, l’originaria compattezza. Ahimè! Il Cristo di neve si sciolse.
dipinto nella chiesa del Purgatorio, particolare
Dicevo, dunque, che lo spirito religioso degli Irsinesi dovette essere molto scarso nell’ultimo secolo, ad onta, anche, delle numerose, frequenti e fastose cerimonie e feste religiose, e c’è da credere, anzi, che la religione, almeno fra la maggioranza della popolazione, sia rimasta al livello del paganesimo e della superstizione, se è vero come è vero, che pratiche chiesastiche, scongiuri, fatture, magia e spiritismo si sono intrecciati e mescolati con molta facilità e disinvoltura nell’animo popolare, mantenendo in vita miti e leggende di un’età antichissima, e creandone altri, in cui il sacro e il profano si trovano, in maggiore o minore misura, confusi. È vero non ci sono mai stati maghi e fattucchiere nel nostro paese, almeno a memoria d’uomo e specialmente gli uomini hanno sempre asserito di non credere agli esimi personaggi di Gravina, Genzano, Spinazzola o Castellaneta che maggiormente si sono fatti un nome in materia di scongiuri e di magia. Ma è raro trovare un Irsinese che accetti (meglio: accettava) di accendere, terzo, la sigaretta a un medesimo fiammifero; o che non giurasse, qualche decennio fa sulla reale esistenza del tale o tal altro spirito o fantasma che dir si voglia.
Di origine, diciamo così, dotta, sono, molto evidentemente, le giaculatorie e le preghiere diffuse tra il popolo fino a qualche tempo fa, e che ore sono scomparse, sostituite da altre, sempre importate. Un esempio ci è offerto dalle seguenti, recitate in un dialetto che pretende o che risente dell’originale italiano o latino:

E diciamo il verbo di Dio,
è l’ora del gran Signore,
la croce è fatta per i peccatori,
la croce è tanto fina e tanto lunga: 
un braccio in cielo
e un altro in terra;
alla valle di Giosafatte
non avrai dove mettere mano;
tremerà la nostra vita
come trema la foglia della vite;
tremerà la nostra anima
come trema la foglia dell’albero;
tremerà il nostro corpo
come trema la foglia all’orto.
E adesso scende San Giovanni
con il libro d’oro in mano.
Va dicendo:
peccatori e peccatrici,
chi sa il verbo di Dio
se lo dica,
e chi non lo sa
vada a impararlo.
A quel mondo è richiesto,
dove con botte
e con fruscii (sic) di lacrime
sei accompagnato.

* * *
Mi corico nel letto
Con l’angelo perfetto
e con la regina madre
e Dio che mi accompagna.
Di notte e di giorno
con la vergine Maria,
in mezzo alla casa
l’angelo steso,
sopra il letto
l’angelo aperto,
al capezzale Gesù Cristo
e San Giovanni
con le braccia aperte.
Nel cammino
c’è l’angelo Raffaele.
Alleluja alleluja
Gesù Cristo è con noi.

* * *

Io ti chiudo la porta Santa,
col bastone di San Giuseppe.
Chi vuole male a me,
possa perdersi per la via.

Le dette preghiere sono recitate di sera, al momento di andare a letto come del resto la seguente:

Dies, Irae, dies illa,
Serva e secula e cunsapilla (sic).
Gesù mio, che gran terrore,
come giudice comparirai.
E non stai giorni ed anni
condannato con tanto affanno.
Quando quelle anime risorgeranno,
nel giorno del giudizio universale,
sorgerà morte e natura
dall’antica sepoltura.
Colpe e pene si confessano,
davanti a Dio le presento.
Alla eterna maestà,
che si salva si salverà.
E dal fondo di pietà
non farci perdere questa vita.
Tu ci creasti,
tu ci salvasti.
Sopra un legno di croce (in croce?)
ci accompagnasti.
Alla fine non basta
tribolare con azione,
Davanti a Dio quest’orazione.
All’eterna maestà,
chi si salva si salverà.
E salva quelle anime
dal fondo di pietà.
Tieni a mente
Grande Dio,
non farci perdere
questa vita.
Davanti a Dio sia dato
fra gli angeli beati,
separati i maledetti
nel fuoco eterno e stretto
e non stai giorni ed anni,
condannato con tanto affanno.
Dies irae et lacrimosae,
pace ai vivi e ai defunti,
a quelle anime
dona eis Domine,
requiescant in pace
amen.

Non esistono cenni di letteratura popolare religiosa che non siano mescolati a motivi magici e spiritistici, o che non abbiano un fondo satirico e, in sostanza di incredulità. Come la storia del peccatore pentito, per esempio. Essa racconta che un giovane a venti anni, avendo commesso ogni sorta di peccato e volendo abbandonare quella sua vita dissipata e condannata, dovette farsi ricevere dal papa per ottenere la promessa dell’assoluzione, non avendo voluto, il parroco e il vescovo del suo paese, assumersi tanta responsabilità. Lo stesso Santo Padre però gli consigliò, per ottenerla, una penitenza di almeno vent’anni in un bosco esterno, tanto erano gravi i peccati commessi. Soprattutto ammonì il giovane a non mangiare più carne, mai; a non bere più vino per nessuna ragione; a non conoscere più donna, a pena dell’inferno. Ma il povero penitente, giunto nel bosco indicatogli con tutta la buona volontà di pentirsi e con tutto l’ardore di propositi intatto ebbe la sfortuna di imbattersi in un convento di Santissime monachelle le quali, per la sicura salvezza del peccatore e per la maggior gloria del Signore, trovarono il modo di convincerlo che bere il moscato non significava bere vino, che gli uccelli e i polli non erano carne e che, soprattutto giacersi con loro equivaleva ad uccidere per sempre ogni desiderio di donna e perciò era l’unico modo di tenersi lontano dalla lussuria.
Come si concluda la storiella a noi non interessa, ma non è difficile da indovinarsi.
(1 - continua)

tratto dal libro di 






Michelino Dilillo 






IRSINA 


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montepelosane



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