La chiesa di San Rocco con la Signora L'sandr (Alessandra) che la apre ai visitatori. |
Il rito iniziava una o due settimane prima e consisteva nel portare in
giro per tutto l’abitato u cirie in una grande questua casa per
casa. U cirie era è una specie di altarino votivo mobile abbastanza
pesante ed era portato a spalle da ragazze o donne devote, ed era seguito
dall’organizzatrice che intonava rosari e canti, e da una turba di monelli che
facevano il coro. Si fermava ad ogni angolo di strada, e alle donne che si
affacciavano per vederlo passare, la zelante organizzatrice chiedeva un
contributo per le candele. La notte, o il giorno prima della ricorrenza,
secondo la distanza del Santuario cui il cirio era diretto, cominciava il
pellegrinaggio vero e proprio. Allora ad esso si accodavano, oltre alla solita
turba di monelli scalzi e scamiciati, anche donne devote, a volte scalze,
imploranti dal Santo o dalla Madonna, la grazia di un figlio, o la pace della
famiglia, oppure il ritorno del marito o la guarigione di un malato, secondo i
casi e le circostanze personali e familiari.
I coloni, invece, i rampicanti,
quelli, cioè, che potevano disporre di un traino, facevano il viaggio con più
comodità. I preparativi della partenza cominciavano qualche giorno prima della
ricorrenza. Le donne preparavano polli o conigli ripieni, ben rosolati in
padella o a fuoco sotto a fuoco sopra, con uno strumento adatto denominato forno
campagna. I mariti ingrassavano le ruote dei traini, vi fissavano delle
canne ad arco o dei semicerchi metallici in modo da potervi stendere un telone
alla maniera dei carri del Far West, governavano abbondantemente le mule,
spiavano il cielo per scorgervi i segni eventuali di un temporale in vista che
avrebbe potuto far abbassare repentinamente la temperatura. Le ragazze ed i
giovanotti preparavano i vestiti nuovi, si sforzavano di mettere da parte
qualche gruzzoletto personale per quelle spesucce di cui era meglio non
chiedere e non dar conto ai genitori.
I
pellegrinaggi veri e propri di una volta sembrano non esistere più e le feste
sono soltanto occasioni di divertimento di massa e fughe dalle angustie di
tutti i giorni.
Evviva Santi Rocca,
e Santi Rocca evviva,
evviva Santi Ro’
ca int’ a Tolv staia.
La mattina del 16, a Tolve, davanti e nella chiesa del Santo, si poteva
assistere (e succede ancora, sia pure in forma meno vistosa e in numero molto
più modesto) a scene di devozione non so più se disgustose o
commoventi. Gente inginocchiata che saliva, in quella posizione, la scalinata
lunga della chiesa, soffermandosi su ogni gradino il tempo necessario a
recitare una corona di rosario. Donne scarmigliate e piangenti che imploravano,
chiedevano insistentemente e quasi minacciando reclamavano le grazie ed i
favori più diversi. Gente che percorreva tutta la lunghezza della navata, fino
alla statua del Santo, inginocchiata e piegata in due sul pavimento, con la
lingua strisciante sui duri e sporchi mattoni di pietra. Persone che recavano
in braccio ex voto di ogni genere, mani e gambe e piedi e teste e corpi
interi, che poi fanno lunga mostra nella chiesa stessa, piena di questi oggetti
e di altri più preziosi.
Il pomeriggio, però, la maggior parte di questi pellegrini, dopo aver
consumato le cibarie portate da casa ed averle abbondantemente innaffiate di
vino rosso generoso, non pensano più alla devozione, pensano a divertirsi.
La sera del 15 agosto, chi non poteva andare a Tolve,
preparava in Irsina u Sant Rocc. L’usanza è ancora viva, anche se
meno sentita e praticata. Si tratta di erigere delle
piccole cappelle, all’aperto ma più spesso negli androni delle porte di casa,
allestite con grande sfarzo di coperte e di biancheria da letto, con un
altarino su cui troneggia, naturalmente, l’immagine di San Rocco, ma anche
quella di altri Santi, specie i Medici Cosimo e Damiano. Di questi Sant
Rocc se ne preparano parecchi, e le donne gareggiano nell’addobbo. A
sera tutti passeggiano per il paese per visitare i Sant Rocc. Poi la gente
devota vi si raccoglie intorno in veglia, per alleviare la quale si recitano
rosari, si cantano stornelli, si mangiano cocomeri. I giovani, essendo
particolarmente libere e incontrollate le fanciulle, ne approfittano per
appartarsi in colloqui amorosi e preparare i matrimoni autunnali o della futura
primavera.
tratto dal libro di
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