Montepeloso
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sabato 3 agosto 2019

Agosto - San Rocco a Irsina fra '800 e '900


La chiesa di San Rocco con la Signora L'sandr (Alessandra) che la apre ai visitatori.
Il rito iniziava una o due settimane prima e consisteva nel portare in giro per tutto l’abitato u cirie in una grande questua casa per casa. U cirie era è una specie di altarino votivo mobile abbastanza pesante ed era portato a spalle da ragazze o donne devote, ed era seguito dall’organizzatrice che intonava rosari e canti, e da una turba di monelli che facevano il coro. Si fermava ad ogni angolo di strada, e alle donne che si affacciavano per vederlo passare, la zelante organizzatrice chiedeva un contributo per le candele. La notte, o il giorno prima della ricorrenza, secondo la distanza del Santuario cui il cirio era diretto, cominciava il pellegrinaggio vero e proprio. Allora ad esso si accodavano, oltre alla solita turba di monelli scalzi e scamiciati, anche donne devote, a volte scalze, imploranti dal Santo o dalla Madonna, la grazia di un figlio, o la pace della famiglia, oppure il ritorno del marito o la guarigione di un malato, secondo i casi e le circostanze personali e familiari.
I coloni, invece, i rampicanti, quelli, cioè, che potevano disporre di un traino, facevano il viaggio con più comodità. I preparativi della partenza cominciavano qualche giorno prima della ricorrenza. Le donne preparavano polli o conigli ripieni, ben rosolati in padella o a fuoco sotto a fuoco sopra, con uno strumento adatto denominato forno campagna. I mariti ingrassavano le ruote dei traini, vi fissavano delle canne ad arco o dei semicerchi metallici in modo da potervi stendere un telone alla maniera dei carri del Far West, governavano abbondantemente le mule, spiavano il cielo per scorgervi i segni eventuali di un temporale in vista che avrebbe potuto far abbassare repentinamente la temperatura. Le ragazze ed i giovanotti preparavano i vestiti nuovi, si sforzavano di mettere da parte qualche gruzzoletto personale per quelle spesucce di cui era meglio non chiedere e non dar conto ai genitori.

I pellegrinaggi veri e propri di una volta sembrano non esistere più e le feste sono soltanto occasioni di divertimento di massa e fughe dalle angustie di tutti i giorni.
Evviva Santi Rocca,
e Santi Rocca evviva,
evviva Santi Ro’
ca int’ a Tolv staia.
La mattina del 16, a Tolve, davanti e nella chiesa del Santo, si poteva assistere (e succede ancora, sia pure in forma meno vistosa e in numero molto più modesto) a scene di devozione non so più se disgustose o commoventi. Gente inginocchiata che saliva, in quella posizione, la scalinata lunga della chiesa, soffermandosi su ogni gradino il tempo necessario a recitare una corona di rosario. Donne scarmigliate e piangenti che imploravano, chiedevano insistentemente e quasi minacciando reclamavano le grazie ed i favori più diversi. Gente che percorreva tutta la lunghezza della navata, fino alla statua del Santo, inginocchiata e piegata in due sul pavimento, con la lingua strisciante sui duri e sporchi mattoni di pietra. Persone che recavano in braccio ex voto di ogni genere, mani e gambe e piedi e teste e corpi interi, che poi fanno lunga mostra nella chiesa stessa, piena di questi oggetti e di altri più preziosi.
Il pomeriggio, però, la maggior parte di questi pellegrini, dopo aver consumato le cibarie portate da casa ed averle abbondantemente innaffiate di vino rosso generoso, non pensano più alla devozione, pensano a divertirsi.
tratto dal libro di 




Michelino Dilillo 






IRSINA 


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